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Il Cavaliere rilancia le larghe intese e incassa l'ok da An e dall'Udc

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Dopo Prodi, quella delle larghe intese, è un'ipotesi di buon senso che resta sempre valida». Silvio Berlusconi arriva a Montecitorio per votare contro il decreto fiscale e, dopo aver attaccato l'esecutivo, ripropone l'ipotesi del governissimo per guidare il Paese, se il Professore fallisse. Una linea sulla quale incontra per la prima volta l'apertura di An, lo sbarramento della Lega e la prudenza dell'Udc, che rivendica la posizione di mezzo tra maggioranza e Cdl. L'uscita di Berlusconi, analoga a quella del dopo-elezioni, riapre il dibattito nella Cdl. Ad aprile lo stesso Casini, come ieri ha ricordato maliziosamente Marco Follini, si oppose a quella soluzione. Ma ora è diverso. Appena giovedì mattina l'ex presidente della Camera auspicava la nascita di un «bipolarismo ad excludendum», una grande intesa tra i poli, sul modello tedesco, che tagliasse le ali estreme di entrambi gli schieramenti. Ed è proprio Casini, a caldo, a salutare con favore la mossa del Cavaliere. Al termine di un brevissimo incontro alla Camera con l'ex premier, il leader dell'Udc commenta: «Guardate che Berlusconi non è mica uno stupido. È un uomo intelligente, che ragiona». Ma a bocce ferme a Via due Macelli segnalano il cambio di linea tra il Cavaliere che ha arringato contro Prodi «bugiardo» la piazza per lo più leghista di Vicenza, appena una settimana fa, e quello che ieri si rilancia nel ruolo di interlocutore privilegiato dell'Unione, cercando di tagliare la strada proprio a Casini. I centristi, dunque, salutano quella del Cavaliere come un'altra «conversione», dopo quella sulla politica estera: «Anche stavolta - dice Luca Volontè - le posizioni dell'Udc prima stigmatizzate vengono condivise dalla coalizione, a partire da Forza Italia. Restiamo coerenti con la ferma volontà di confrontarci con la maggioranza in Parlamento. Dopo queste dichiarazioni, ci aspettiamo che anche Berlusconi segua la stessa linea di coerenza». D'altra parte, gli fa eco Francesco Pionati, «di larghe intese Casini parla da agosto». A ragionare, secondo lo schema proposto da Casini, non è solo Berlusconi, ma anche Gianfranco Fini. Nei primi mesi del '95 il leader di An si conquistò il nomignolo di «signor no» per aver stoppato il cosiddetto «lodo Maccanico» (governo di large intese per fare la riforma elettorale). Da allora il partito ha sempre bocciato ogni intesa trasversale come «pasticci neo-centristi». Stavolta non è così. La proposta di far nascere il partito dei moderati ha avuto successo nel partito e Fini rompe anche questo tabù: «Tutti gli scenari e le ipotesi che possono contribuire a far cadere il governo Prodi - fa dire al portavoce di An, Andrea Ronchi - debbono essere osservate con grande attenzione». Chi invece proprio non ci sta è la Lega, che boccia ogni scenario che preveda dopo Prodi soluzioni alternative al ritorno alle urne. Il Carroccio fonde così la sua allergia verso ogni intesa trasversale al netto dissenso sul referendum elettorale. Alle aperture di Berlusconi reagisce gridando all'inciucio e aggiunge che ormai è rimasta solo lei «a fare opposizione». «Se Prodi è il diavolo e la sinistra l'inferno, cosa peraltro confermata da questa disastrosa finanziaria - attacca Roberto Calderoli - davanti alle proposte di larghe intese non posso che rispondere: vade retro Satana! Dopo Prodi non possono che essere le elezioni. Niente governicchi, magari con la scusa di far svolgere il referendum elettorale per far nascere due grandi partiti unici e poi andare a votare nella primavera 2008, ovvero nella prima data utile per le elezioni politiche dopo il referendum sulla legge elettorale. Referendum e larghe intese - conclude Calderoli - dimostrerebbero solo una cosa: un grande inciucio». Se la Cdl discute, l'Unione respinge unanime l'appello di Berlusconi. Massimo D'Alema è netto: «Noi non siamo in cerca di un nuovo governo». Lamberto Dini fa un cenno all'ipotesi che dopo Prodi possa nascere un governo tecnico-istituzionale.

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