Tutti vittime di mille piccoli spioni

Lui e la moglie erano vittime di accertamenti tributari abusivi. E le indagini in corso, probabilmente, sveleranno i «chi» e i «perché». Ma la verità è molto più preoccupante. Una preoccupazione che dovrebbe diventare un sentimento comune, condiviso da tutti noi cittadini delle società hi-tech. E non c'è bisogno di scomodare Echelon, il fantomatico sistema di osservazione che terrebbe sotto controllo l'intera umanità per conto dei servizi di sicurezza Usa. Infatti, quella che un tempo era considerata fantascienza è diventata una tecnologia relativamente accessibile, quello che sembrava un incubo orwelliano e squisitamente letterario è ormai realtà. Il paradosso è che siamo noi a volerlo, pagando profumatamente per essere «connessi» al nuovo mondo della rete globale. Certo, non c'è un Grande Burattinaio, un misterioso supercontrollore verso il quale i nostri dati personali vengono convogliati. Non c'è un Centro Unico di Sorveglianza che monitorizza le nostre vite. Ma invece mille flussi di informazioni che scorrono in piccoli rivoli in direzioni diverse. E, finché reggono i compartimenti stagni, il pericolo che le nostre azioni quotidiane vengano catalogate, classificate e collegate fra loro per costruire il profilo di preferenze commerciali, opinioni politiche, fedi religiose e tendenze sessuali in un ritratto completo, dettagliato e sfruttabile a scopi di potere, resta lontano. Eppure la nostra esistenza è cambiata senza che noi ce ne accorgessimo. È accaduto in pochi anni. Abbiamo riempito le nostre tasche con telefoni cellulari che (non diversamente da quelli fissi) possono essere intercettati e che (diversamente da quelli fissi) possono fornire una mappa precisa dei nostri spostamenti come un gps. Abbiamo farcito i nostri portafogli di carte di credito e di tessere-fedeltà del supermarket che segnalano puntualmente il nostro comportamento di acquirenti, di viacard che memorizzano i nostri spostamenti sulla rete autostradale. E anche se non lasciamo la città, le nostre metropoli sono punteggiate da telecamere (a Roma e a Milano sono centinaia). Le cassette della posta vomitano richieste di informazioni per sondaggi apparentemente innocenti. Nei nostri salotti, fino a poco tempo fa destinati ad accogliere solo il piccolo schermo della tv, ora troneggiano computer collegati al world wide web, cioè a tutto il Pianeta. Ma ogni volta che stabiliamo un «link», il relativo «server» deve conservare accuratamente i dati. Per legge. E per anni. Il che significa che «qualcuno», volendo, può scoprire se abbiamo visitato un sito porno o quello della parrocchia sotto casa, che cosa cercavamo durante la navigazione lungo gli oceani cibernetici, con chi abbiamo «chattato» e che cosa ci siamo detti. Fin qui quello che accade a noi, anonimi cittadini-consumatori. Ad altri va peggio. Se i controlli disposti dai magistrati su Fiorani, Ricucci, Moggi e altri servivano a portare a termine le indagini, il recente caso delle intercettazioni abusive scoperto dai pm milanesi ha dimostrato che uomini politici, big della finanza, arbitri, giocatori e manager di calcio erano nel mirino di spioni del tutto abusivi. Tra gli spiati, tanto per fare qualche nome, il presidente di Capitalia Cesare Geronzi, il presidente dell'accordo parasociale della stessa Capitalia Vittorio Ripa di Meana, Cristian Vieri, l'ex patron di Parmalat Calisto Tanzi, l'ex presidente della Figc Franco Carraro e, ancora una volta, Romano Prodi. Nei loro confronti, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, venivano raccolte informazioni riservate riguardanti i precedenti penali e di polizia ad opera di ufficiali delle forze dell'ordine retribuiti da un'agenzia di investigazione privata. Uno «scandalo» che ha fatto scrivere al tedesco Der Spiegel: «Difficilmente le intercettazioni illegali delle telefonate sono così diffuse nel mondo come in Italia». In effetti, sembra che nel caso in questione si parli di decine di migliaia di files. Un lavoro che farebbe impallidire quello del Sifar del generale De Lorenzo. Per