di LAURA DELLA PASQUA «SARÀ meglio di una manifestazione di piazza».

E così è stato. Approfittando della diretta televisiva è andata in onda una sceneggiata come non si vedeva da tempo nell'Aula della Camera. In serata è passata la fiducia con 327 sì e 227 voti contrari. Il via libera al decreto ci sarà oggi; poi passerà al Senato. Quella di ieri è l'ottava fiducia finora ottenuta in poco più di cinque mesi dal governo Prodi. È questo l'esito di una giornata campale all'insegna della massima tensione. Esposizioni di cartelli, urla, richiami ripetuti da parte del presidente di Montecitorio Bertinotti costretto a interrompere il dibattito per placare la tensione, fino a una rissa sventata per poco grazie all'intervento dei commessi. Il dibattito sulla fiducia si è svolto in un clima da bagarre messa in scena soprattutto dalla Lega ma a cui subito si è affiancata Forza Italia mentre Alleanza Nazionale e Udc seguivano senza muoversi. La seduta era cominciata abbastanza in sordina. Malgrado la diretta televisiva, all'inizio delle dichiarazioni di voto l'emiciclo era quasi vuoto con il banco dei ministri deserto ed il governo rappresentato solo da quattro sottosegretari. Il clima ha cominciato a elettrizzarsi quando si è alzato a parlare il leghista Massimo Garavaglia. Ha appena criticato la stretta del governo sui commercianti che non emettono gli scontrini che subito dai banchi dei suoi colleghi ecco spuntare grandi cartelli che riproducono scontrini fiscali e sopra una scritta rossa e blu, «chiudo per tasse» e «il Nord ha già pagato». Subito interviene il presidente Bertinotti: «Censuro questo comportamento», dice mentre, scomparsi i cartelli ritirati dai commessi, inizia a parlare il leader dell'Udc Lorenzo Cesa, applaudito solo dai suoi ma non dai colleghi di Forza Italia e An. La calma sembra essere tornata, ma dura poco. Ecco che interviene Ignazio La Russa che sventola una copia del Corriere della Sera con in evidenza il titolo «Prodi, non sono per tutte le stagioni». Poi è la volta di Giulio Tremonti protagonista di un battibecco con Bertinotti. Il vicepresidente di Forza Italia preso dalla foga sfora i tempi del suo intervento e il presidente della Camera lo bacchetta. Ma lui se ne infischia e tira avanti. «È inutile far polemica, c'era un accordo sui tempi in capigruppo, deve concludere, non è leale», lo inchioda il presidente di Montecitorio spegnendogli il microfono. I deputati di FI si lanciano, tutti in piedi, in un lungo applauso a Tremonti, praticamente impedendo a Dario Franceschini di parlare. Nel frattempo entra in Aula Romano Prodi e prende posto tra Massimo D'Alema e Beppe Fioroni, mentre Franceschini si becca un lungo fischio «alla pecoraia» fatto con due dita in bocca da un deputato di Forza Italia. Dopo la Lega a far ripiombare l'Aula nella polemica è Forza Italia. A un certo momento Simone Baldelli e Antonio Leone distribuiscono delle cartelline sospette e appena Franceschini termina di parlare ecco spuntare cartelli bianchi con una scritta rossa: «Prodi bugiardo». Dai banchi dell'Unione si leva il coretto «buffoni, buffoni» mentre Bertinotti, invita per due volte i deputati a ritirare i cartelli. Nessuno lo ascolta e devono intervenire i commessi. Nel frattempo sui banchi della Lega rispuntano i maxiscontrini. Bertinotti sbotta: «Censuro questo comportamento è contro le regole». I cartelli spariscono ma la tensione resta alle stelle. L'azzurro Paolo Romani scaglia un giornale contro l'Udeur Antonio Satta mentre tra il leghista Gianni Fava e Mauro Fabris (Udeur) scoppia la rissa e i due vengono quasi alle mani ma intervengono immediati i commessi.