Il leader di An prepara un libro Parte la campagna sulla cittadinanza
O forse verso una nuova destra. A novembre ci sarà un convegno su cittadinanza e integrazione, e nelle vacanze di Natale Gianfranco Fini conta di scrivere un libro, «un saggio di cento pagine al massimo che raccolga le mie riflessioni di questi anni», spiega. Il nuovo passo si compie ieri. Fini scrive infatti al Corriere della Sera e fissa i paletti della linea del partito. Che si può riassumere i tre punti: no a una legge che vieta di usare il velo, concentrarsi sull'integrazione (più che sull'immigrazione), una forte riaffermazione del principio che i diritti sono individuali e non possono diventare collettivi. Ma cosa scrive Fini? Anzitutto sottolinea che «vietare l'ostentazione di simboli religiosi è profondamente sbagliato». E si domanda: «Può una discussione difficile e problematica come quella sull'integrazione religiosa coincidere con le dimensioni di un velo?». E ancora: «Ma può una libertà di culto rappresentare una minaccia di un popolo, di una nazione?». Il leader di An ricorda che «essere integralisti islamici significa rifiutare la libertà dell'altro, anche musulmano, che si veste e pensa diversamente». Ecco perché, secondo il capo della destra, l'integralismo è una minaccia contro l'Occidente ma anche contro lo stesso islam. «Se la libertà religiosa - rileva - è il cardine di una Costituzione liberale e democratica liberale e democratica, il riconoscimento, ad una minoranza come quella islamica, del diritto di avere i propri luoghi di culto non contraddice il senso dell'identità nazionale ma contribuisce a far crescere quest'identità verso forme più consapevoli e mature. Eppure la difesa della propria identità diventa spesso il rifugio di fronte a tutte le paure che i processi di globalizzazione provocano». Secondo Fini «in Italia sembra però che in troppi non si accorgano che una cultura teocratica come quella islamica male si adatta a una civiltà liberale come la nostra: non si tratta di impedire alle persone di diversa religione di praticare il proprio culto. Si tratta semmai di non garantire permessi e diritti di cittadinanza ad immigrati che rifiutano la cultura, gli usi e gli ordinamenti del Paese ospitante». L'ex ministro degli Esteri nota anche come vi siano «immigrati che ambiscono ad innestare nel nostro nel nostro tessuto socio-culturale, religioso, politico ed economico il proprio "credo" che spesso confligge con i principi fondamentali del nostro Stato di diritto. In troppi, specie a sinistra non hanno compreso che il multiculturalismo non è un perfezionamento del pluralismo proprio della società aperta e liberale. Ne rappresenta la negazione e la distruzione». «Nel futuro - insiste il presidente di An - diventerà pertanto fondamentale far comprendere agli immigrati islamici che provengono da Paesi dove le norme civili sono regolate dalla sola religione e dove religione e Stato formano un'unità indissolubile, che in Italia i rapporti tra Stato e organizzazioni religiose sono molto diversi». Infine Fini pone l'accento su un «principio fondamentale della cultura liberale secondo cui solo i singoli individui possono essere titolari di diritti: mai, in nessun caso, i gruppi e le entità collettive perché la concessione di diritti collettivi determinerebbe una sorta di feudalizzazione del nostro diritto positivo». Alessandra Mussolini si dichiara «assolutamente d'accordo». Mentre l'attuale titolare della Farnesina, Massimo D'Alema, si spinge oltre: «In Italia non abbiamo una legge generale che garantisca tutte le libertà religiose, e questo a mio parere è una cosa vergognosa». Le parole di Fini arrivano mentre Daniela Santanchè va avanti con la sua battaglia: sono ormai 50 le firme bipartisan raccolte dalla deputata di An per l'emendamento che, se approvato, destinerebbe il 25% delle «liquidazioni d'oro» dei supermanager al finanziamento dei fondi del ministero per le Pari opportunità, per l'istruzione e la tutela delle donne immigrate, trasferitesi nel nostro Paese. Il dibattito dunque è aperto.