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Polemiche in Ungheria dopo gli incidenti di lunedì

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Governo e opposizione si accusano a vicenda per gli scontri

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Dopo i disordini violenti di due giorni fa, con un bilancio altissimo di arresti, devastazioni e feriti, sul tappeto rimangono i dilemmi di un governo e di una opposizione che non sanno bene cosa fare, e che si addossano reciprocamente la colpa dei gravi scontri fra dimostranti e polizia. L'ultimo bilancio parla di oltre 160 persone ferite e oltre 131 arrestate. Il premier socialista Ferenc Gyurcsany, al centro da quasi dieci settimane della protesta dei manifestanti che ne chiedono a gran voce le dimissioni, ha accusato l'ex premier conservatore Viktor Orban, attuale leader di Fidesz (Federazione dei giovani democratici), principale forza di opposizione, di essere dietro i dimostranti violenti e di avere «dato una ideologia» ai vandali sulla strada. In dichiarazioni alla tv pubblica, Gyurcsany ha parlato di una «minoranza aggressiva» che ha tenuto in «ostaggio» Budapest e «ci ricatta». Il Fidesz di Orban «gioca col fuoco ma la nazione brucia». Il Fiedesz ha replicato chiedendo come mai la polizia ha usato una «violenza senza precedenti» contro «bambini, ragazzi e anziani» e ha parlato anche di «provocazioni» delle forze dell'ordine chiedendo che siano accertate le responsabilità. Il capogruppo del Fidesz Tibor Navracsics ha affermato che Gyurcsany «spacca» mentre il Paese ha bisogno di un primo ministro che unisca. A una riunione dei capigruppi in Parlamento Fidesz ha chiesto un dibattito urgente per sul comportamento della polizia. Il governo ha accolto la proposta, nessun problema neanche per la nomina di una commissione di inchiesta parlamentare, ma ha detto no alla richiesta di tenere subito un dibattito d'urgenza. Parlando alla contro-commemorazione del Fidesz per il '56, Orban aveva proposto che fosse indetto un «referendum sulle riforme» del governo Gyurcsany. La democrazia offre la giusta soluzione per la crisi politica generata nel paese, ha detto davanti a 100.000 simpatizzanti. Il Fidesz ha rivolto all'ufficio elettorale sette domande per il referendum: tra l'altro contro la nazionalizzazione delle strutture sanitarie e ticket per gli ambulatori e per una legge sulla responsabilità del premier e i membri del governo sul deficit dello Stato. La mossa di Orban viene interpretata come il tentativo di rimettere la crisi nei binari politici. Il leader del Fidesz, che da tempo deuncia come illegittimo il premier, evita ora di insistere su nuove elezioni e lancia l'idea del referendum. La portata dello scontento popolare va infatti ben al di là della rabbia per le ormai famose «bugie» del premier. In un nastro misteriosamente finito ai giornali, Gyurcsany ammetteva in un discorso davanti al gruppo socialista che il governo aveva mentito sulla situazione economica del Paese per vincere le elezioni ad aprile (dopo la vittoria è giunta poi la stangata) scatenando la protesta popolare a metà settembre. A questa si è poi aggiunto il clima emotivo di questi giorni per l'anniversario del '56 che ha indotto il nucleo duro dei dimostranti a chiedere le dimissioni in tronco di «tutto il regime comunista», ovvero l'attuale governo considerato l'erede di quello staliniano che stroncò la rivoluzione nel sangue. Le dimissioni di Gyurcsany da sole (sostituito da un altro socialista) non basterebbero alla massa: ci vorrebbero nuove elezioni. Ma politici di ogni colore sanno bene che la Costituzione, vista la maggioranza parlamentare del governo social-liberale, non le prevede. Dovrebbe essere il governo stesso, su pressione della piazza, a indirle. Cosa alquanto improbabile finchè i liberali (Szdsz) resteranno nella coalizione.

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