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L'annuncio del premier Subito le barricate della sinistra radicale

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Su questo tema il terreno è sdrucciolevole ma al momento l'intenzione del presidente del Consiglio è di dirottare l'attenzione dal fronte fiscale che sta mettendo in difficoltà il governo a quello delle riforme. In questo modo sa di poter trovare una sponda in quegli ambienti riformisti che hanno criticato la mancanza nella Finanziaria di uno scatto innovatore e di riscattarsi agli occhi dei mercati esteri ugualmenti critici verso la manovra tutta puntata sulle imposte e poco sui tagli. Sichè ieri ha approfittato dell'intervento all'Assemblea dell'Assoporti per scandire la tabella dei prossimi impegni. «È chiaro - ha detto - che finita la Finanziaria si porrà mano alle riforme su cui ci siamo impegnati, con sindacati Confindustria e Governo e che non abbiamo potuto mettere nella manovra perchè non c'è posto per tutto». Dopo il varo della Manovra, annuncia il premier, «partirà la fase due del governo». Poi ricorda che è stato firmato un protocollo sulle pensioni che prevede la riforma del sistema entro il 31 marzo. «E a questo bisogna obbedire». A tracciare le linee del nuovo impegno del governo è stato il ministro dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani: «Lavoreremo sulle linee concordate nel memorandum con i sindacati e a gennaio avvieremo il confronto con i sindacati da chiudersi entro sei mesi». E per mettere i paletti alle inevitabili contestazioni, Bersani sottolinea che «c'è tutto in quella intesa». Quell'accordo ricordato da Bersani porta la firma dei segretari di Cgil, Cisl e Uil e indica come pilastri della riforma l'aumento dell'età di pensionamento, il passaggio al sistema contributivo pieno eliminando le differenze ancora esistenti tra categorie e l'eliminazione delle restrizioni al lavoro degli anziani superando il divieto di cumulo. Ma le parole di Bersani non convincono la sinistra estrema nonostante più volte Rifondazione abbia detto di volere il via libera dei sindacati a qualsiasi intervento sulle pensioni. Ieri si è scatenata la solita bagarre. Il segretario di Rifondazione, Franco Giordano, ha infatti tirato il freno a mano, soprattutto puntando il dito sull'aumento dell'età pensionabile, e ha invitato innanzitutto a pensare all'indispensabile adeguamento dei trattamenti minimi. Stessa musica dai Comunisti. «Le pensioni non si toccano. Prodi preferisce Montezemolo ai suoi elettori? L'unica cosa che era prevista dal programma dell'Unione era l'abolizione dello scalone» afferma Marco Rizzo, eurodeputato del Pdci. Mettono paletti anche i Verdi. «Mandare in pensione tutti alla stessa età - afferma Bonelli - è sbagliato perchè vi sono lavori usuranti che rendono fisicamente impossibile prevedere un innalzamento della soglia dell'età pensionabile. Del resto è anche necessario affrontare l'adeguamento delle pensioni minime e una riduzione delle pensioni d'oro». Daniele Capezzone (RnP), presidente della Commissione Attività Produttive della Camera, ha sottolineato che «è molto rischiosa, per non dire imprudente, la logica dei due tempi (prima la Finanziaria, e soltanto dopo le riforme, a partire da quella previdenziale)». I sindacati sono vigili. La Cgil, con la segretaria confederale, Morena Piccini, ha tenuto a chiarire che il sindacato non andrà al confronto «per sentirsi dire quanto bisogna tagliare sulle pensioni per fare bella figura in Europa». Da tutte e tre le sigle sindacali viene un fermo no a toccare i coefficienti di trasformazione delle pensioni, intervento sollecitato invece da esponenti della maggioranza tra i quali il parlamentare diessino Nicola Rossi e il presidente della commissione Attività produttive della Camera, Daniele Capezzone.

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