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L'imam di Segrate si difende: «Non ho minacciato nessuno, anzi sono io la vittima»

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In particolare da due donne ministro, Giovanna Melandri e Livia Turco. Dichiarazioni che comunque sono arrivate nel giorno in cui l'imam di Segrate, Ali Abu Shwaima, protagonista con la parlamentare di An del confronto in tv, ha spiegato che nei suoi confronti non c'e' stata «nessuna minaccia» e «nessuna fatwa». L'imam ha sostenuto che le sue parole pronunciate nel corso del dibattito televisivo «sono state strumentalizzate». Quanto alla scorta assegnata alla Santanché l'imam ha detto di non vedere «alcun motivo» per una decisione del genere. «Essendo anch'io cittadino italiano e poiché il governo non è di questa signora — ha aggiunto — deve esserci reciprocità nel difendere le persone: anch'io sono stato minacciato e aggredito verbalmente perché la parlamentare ha detto di voler scrivere un libro su Al Qaeda e di volermici inserire per farmi dispetto». Da Giovanna Melandri — che ieri ha telefonato a Daniela Santanché — è arrivato comunque un invito a continuare sulal srada del dialogo: «È davvero triste sapere che Daniela Santanchè è costretta a girare sotto scorta solo a causa di parole liberamente pronunciate in un dibattito televisivo. Però dobbiamo insistere sulla strada del dialogo interculturale e interreligioso, sapendo che esistono diritti e valori non contrattabili e riconosciuti dalla nostra Costituzione, come la libera espressione del proprio pensiero. Velo o non velo, dobbiamo chiedere a tutti di riconoscere pienamente il corpus dei valori su cui si basa la nostra società». Anche dal ministro della Salute Livia Turco sono arrivate parole di sostegno alla deputata di An Daniela Santanchè. Ma l'esponente diessina è andata oltre, proponendo una sorta di «lobby» rosa che, al di là delle divisioni confessionali, si batta per garantire i diritti di tutte le donne: «Alle donne musulmane che portano liberamente il velo, chiedo un'alleanza perché nessuna donna debba portare burqa, velo o altri segni non per scelta ma per imposizione». Le donne, conclude, devono essere «tutte unite in una battaglia per i diritti delle donne». Il dato di partenza delle riflessioni del ministro sul velo partono dal «rispetto della libertà femminile, che la porta ad essere contraria ad un uso delle tradizioni che sia in contrasto con l'emancipazione e coi diritti della donna». Ma, aggiunge subito, «non posso non vedere che ci sono donne europee che dell'emancipazione hanno fatto la loro bandiera e che rivendicano l'uso del velo in nome di questa autonomia». Dunque, l'imperativo è «non banalizziamo». E l'idea di costituire una «lobby rosa» per la difesa dei diritti delle donne è stata subito sposata da altre parlamentari. «Non dobbiamo consentire a nessuno in Italia, sia indigeno o immigrato, di offendere le donne, la loro intelligenza, o la libertà di parola», ha, infatti, dichiarato Anna Maria Carloni (Ds), senatrice, tra le fondatrici di «Emily» in Italia. E si è spinta oltre la collega di partito Anna Serafini, certa che «sui diritti delle donne ci possa essere una convergenza», e questo «non solo è auspicabile, ma necessario».

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