«I maggiori problemi li ha creati lo staff»
E lo ha definito un «complottino», ritenendo il sostantivo originale e i suoi sinonimi (congiura, intrigo, cospirazione) eccessivi e fuori luogo rispetto alla realtà. Complotto, in effetti, deriva dal francese «complot», che significa «folla, riunione di persone». E non sembra che gruppi o «folle» di politici della maggioranza siano coalizzati, allo stato attuale, per far cadere il governo Prodi e provocare così con molte probabilità elezioni anticipate dall'esito incerto e forse amaro per il centrosinistra. Ma se si usano altre parole, come ad esempio, «malumori», condendole magari con aggettivi quali «forti», «diffusi» e «giustificati», allora i conti tornano. Soprattutto se parliamo di umori interni al principale partito della coalizione unionista, cioè la Quercia. Andiamo per ordine. Il presidente del Consiglio nei suoi primi mesi a Palazzo Chigi ha dato l'impressione di aver voluto mettere alcuni personalissimi «paletti» per quanto riguarda le banche (fusione Sanpaolo-Banca Intesa, mettendo nell'angolo Mps vicino ai Ds), l'industria (piano Rovati per lo scorporo di Telecom, di cui i Ds non sapevano nulla) e le Comunicazioni (Gianni Riotta al Tg1). E c'è riuscito, fatta eccezione per la società di tlc. Inoltre, contando sul consenso delle primarie, si è auto-candidato a leader del futuro partito democratico. Tutto questo non ha certo reso felici gli alleati. E specialmente i democratici di sinistra, che finora erano stati i più fedeli sostenitori del Professore. Erano, appunto. Poi hanno cominciato a condividere una critica che arriva dal centrodestra: l'esecutivo è «un po'» sbilanciato a favore della sinistra radicale. Prodi, ragionano al Botteghino, ha lavorato fin dall'inizio del suo mandato per tenere a distanza i partiti più grandi della maggioranza. E, per «difendersi» da un presunto pericolo rappresentato da Ds e Margherita, non ha esitato a usare lo strumento dei partiti più piccoli come Rifondazione. Vedi per esempio la bocciatura di Massimo D'Alema a presidente della Camera a vantaggio del «subcomandante» Fausto Bertinotti. E veniamo alla Finanziaria, «scoglio» affiorante per la nave dell'Unione (come per ogni governo). In questo caso i malumori sono ancora più sensibili, «perché l'impianto della legge ha trascurato decisamente l'aspetto riformista», spiega un fedelissimo di Fassino. Niente complotto, ma almeno la richiesta di modifiche (leggi: emendamenti) in Parlamento. E nel partito di Fassino e D'Alema tutti sono certi che, subito dopo Natale, si metterà mano alla Finanziaria in questo senso: «Ci sarà una correzione di rotta», spiegano al Botteghino. Attutendo così gli attriti. «Non c'è dubbio - aggiunge il fassiniano sotto giuramento di anonimato - che il Professore e il suo staff abbiano avuto finora un atteggiamento poco incline a suscitare simpatie, un atteggiamento che nel partito è stato considerato un cocktail di "dilettantismo e presunzione", anche se nessuno sottoscriverebbe ufficialmente questo giudizio». Tutto ciò, comunque, non porterà necessariamente a una crisi. Nessuno la vuole. Nessuno ignora quale sarebbe la reazione della base elettorale e le conseguenze sulla futura credibilità del centrosinistra. «Non c'è scenario - conferma il diessino vicino al segretario - Se Prodi dovesse cadere si darebbe un colpo fatale al bipolarismo». Per ora.