Il premier «sgambetta» il suo vice L'ultima ripicca: il viaggio in Libano
Sono da poco passate le tre e mezza del pomeriggio, Massimo D'Alema sta parlando alle commissioni Esteri e Difesa del Senato. Con lui c'è anche Arturo Parisi, uno degli uomini più vicini a Prodi. Il vicepremier spiega la scelta di istituire un fondo per tutte le missioni all'estero e sottolinea che si tratta di una «decisione saggia» perché «assicura maggiore stabilità al regime giuridico e finanziario applicabile in relazione ai contingenti militari all'estero». Meno di tre ore dopo il portavoce del premier, Silvio Sircana annuncia solennemente: «L'articolo della Finanziaria relativo al finanziamento delle missioni militari all'estero verrà ritirato. È materia su cui è opportuno che il Parlamento si pronunci separatamente». Quando a D'Alema è stato consegnata l'agenzia con le affermazioni di Sircana è trasecolato. Nessuno l'aveva avvertito. Era l'ennesimo cedimento all'ala radicale della coalizione, alla sinistra estrema. E l'ennesima volta che Prodi gli pestava i piedi. Con un crescendo incredibile nelle ultime settimane. A metà settembre D'Alema vola a New York per intervenire all'Assemblea Generale dell'Onu, dove solitamente parla il ministro degli Esteri. Ma il premier piomba dalla Cina, gli ruba la scena e prende la parola. E non è finita, il Professore il 21 settembre incontra il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad in una face to face dal quale il responsabile della Farnesina è stato informato solo all'ultimo momento e, comunque, non è stato invitato al vertice. E ancora, sempre andando a ritroso nel tempo. Si arriva ai primi di settembre e Prodi nomina Renato Ruggiero suo consigliere per i problemi costituzionali europei. Scavalcando anche Emma Bonino che, in quanto ministro degli Affari europei, si occupa anche di questo. Ma Ruggiero non è un signor nessuno, alla Farnesina è stato anche segretario generale e ministro (con Berlusconi). Nel palazzo del grande rettangolo bianco è un autentico ras. O meglio, un boss viste le sue origini partenopee. Chiama gli ambasciatori, convoca riunioni con i diplomatici. Insomma, fa e disfa a casa di D'Alema che ovviamente è sempre l'ultimo a sapere che cosa accade. Baffino è costretto a subire. Lui, proprio lui. Il leader e capo delegazione del principale partito della coalizione. Lui, proprio lui. Quello che voleva fare il presidente della Camera, ma il Professore gli chiuse in faccia il portone di Montecitorio preferendogli Fausto Bertinotti. D'Alema incassa. «Aveva ragione Massimo - dice un dalemiano di stretta osservanza sotto giuramento di anonimato -. Non voleva fare il vicepremier, un incarico vuoto, perché Prodi è così. Fa quello che vuole e non dice nulla a nessuno». Come nel caso Rovati, quando il consigliere del premier ha inviato su carta intestata un piano di ristrutturazione Telecom senza avvertire nessuno. Il leader Ds non spese una parola in difesa del premier che se la prese molto accusando gli alleati di essere lasciato solo. «Ma come potevo difenderlo se non sapevo nulla di tutta la vicenda», avrebbe detto il vicepremier ai suoi. Siamo di nuovo al clima da '98? Prodi sospetta trame nell'ombra dei suoi alleati. Certo, pensare che D'Alema si organizzi per farlo cadere è davvero inimmaginabile. «Trovo davvero deprimente - ha detto qualche giorno fa a Repubblica - che mentre uno si impegna nel mondo per ridare una credibilità internazionale al Paese, come ho fatto io in questi mesi, debba essere angariato da pettegolezzi francamente ridicoli. Mi creda, se avessi voluto tramare, non avrei avuto il tempo». Vero, ma proprio mentre si industriava per rilanciare l'Italia nel mondo, gli è arrivata l'ultima sberla. Prodi ha deciso di andare in missione in Libano la settimana prossima. Proprio in Libano, uno dei fronti internazionali sul quale D'Alema si è impegnato più a fondo raccogliendo i maggiori successi. Appena ha provato ad alzare la testa, il Professore lo ha subito bacchettato. Ma quanto può durare ancora?