La sinistra Ds contro l'idea del Partito Democratico. I dalemiani fissano le loro condizioni
Un'impresa ardua che, adesso, rischia di essergli letale. La dimostrazione arriva da Orvieto dove oggi e domani Ds, Margherita, intellettuali ed esponenti delle società civile proveranno ad accelerare un processo che, complice anche la pausa estiva, sembra essersi clamorosamente impatanato. Fassino si presenta a questo appuntamento in una posizione di estrema debolezza e, cosa forse peggiore, con un partito che gli si sta sfaldando tra le mani. Le elezioni di aprile avevano già messo in evidenza alcune criticità con i Ds che si erano fermati ad un modesto 17,4%. Un dato che aveva scatenato l'ira delle minoranze interne al Botteghino che lo avevano letto come un deciso segnale degli elettori per nulla convinti dall'ipotesi del Partito Democratico e della «fusione fredda» con la Margherita. A quel punto il confronto si era fatto acceso ma, prima la composizione del governo, poi l'elezione delle cariche istituzionali, quindi il primo scorcio di legislatura, avevano sempre impedito il regolamento di conti. Regolamento che è in parte arrivato proprio in occasione della vigilia del seminario di Orvieto quando, 43 esponenti della sinistra Ds capitanati dal ministro Fabio Mussi e dal presidente della Commissione Giustizia del Senato Cesare Salvi, hanno inviato una lettera aperta per comunicare che loro, ad Orvieto, non ci sarebbero stati. «Non possiamo accettare - era la loro obiezioni - che gli stati maggiori si facciano interpreti (senza chiare verifiche democratiche) della volontà popolare, e in nome e per conto dei militanti e degli elettori, procedano alla fusione tra Ds e Margherita». Da lì sono iniziati due giorni di confronto serrato fuori e dentro la Quercia. Prima Fassino ha incontrato Prodi e Rutelli con i quali ha stabilito la road map verso il Partito Democratico (manifesto entro la fine del 2006, congressi di Ds e Dl entro giugno 2007, assemblea costituente tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008). Quindi ha fatto approvare questa proposta dalla segreteria del partito (dove non ci sono esponenti delle minoranze). Infine, mercoledì sera, si è presentato alla presidenza fiducioso di riuscire a convincere, in extremis, gli oppositori. Così non è stato. Per usare le parole del ministro Giovanna Melandri, alla fine di un tiratissimo confronto, «la geografia politica resta immutata». Tradotto: ognuno è restato sulle proprie posizioni. Il segretario della Quercia, ha aperto la riunione con una relazione nella quale ha ribadito che non si può tornare indietro dal cammino cominciato 11 anni fa e ha ribadito l'invito alle minoranze a partecipare al seminario. Ma il ministro e leader del Correntone Fabio Mussi ha ribadito la sua contrarietà al Pd, pur apprezzando la decisione di convocare il congresso entro giugno 2007 e il dialogo tenuto aperto dal segretario Ds. Così, oggi e domani, nella cittadina umbra, sarà una Quercia «zoppa» quella che proverà a portare avanti l'idea del Pd. E per Fassino i problemi potrebbero non finire qui. Infatti, nelle ultime settimane, anche i dalemiani hanno cominciato a far sentire la propria voce. Certo, D'Alema è uno dei principali sostenitori del nuovo soggetto ma, in questo caso, la «corrente» che a lui fa riferimento (anche se il vicepremier ha sempre negato l'esistenza dei dalemiani), ha posto un problema culturale. Il tutto può essere sintetizzato dalle parole di Giuseppe Caldarola: «Per tenere unito il partito bisogna non uscire dalla famiglia socialista altrimenti il destino è segnato». In sintesi, o il Pd decide di fare riferimento al Pse, o non si fa. Purtroppo il principale oppositore di questa teoria è proprio la Margherita e quindi il discorso sembra sostanzialmente chiuso. Insomma, dopo la sinistra Ds, Fassino potrebbe essere contrastato nel suo progetto, anche dai dalemiani. E non è escluso che, a quel punto, il segretario Ds, sempre più solo, potrebbe perdere il comando.