Il ceto medio aveva già sfilato spinto dall'Unione
Avvocati. Ed ancora guardie giurate. Sindacati. Dentisti. Comitati No-Gas e Comitati No-Tav. Cacciatori. Inquilini. Ponte sullo Stretto. E persino Rifondazione Comunista. Proprio tutti e soprattutto tanti, quelli che in poco più di quattro mesi hanno manifestato davanti a Palazzo Chigi. Un record per Prodi e per il suo governo, ritornati in sella per «unire e non dividere», per «stupire riformando il Paese». Ma per il momento il Professore ed i suoi compagni di viaggio si devono accontentare solo di scontentare. Una lunga lista che ha visto soprattutto tanti esordi. Sono svariate le categorie che sono scese in piazza per la prima volta: in molti casi si tratta di professionisti, ceti medi. A dissotterrare l'ascia di guerra lanciando il grido di guerra sono i manifestanti del Ponte sullo Stretto di Messina. Arringati dal leader del Movimento per l'Autonomia, l'eurodeputato Raffaele Lombardo, annunciano di essere pronti «a fare più di mille manifestazioni pur di far cambiare idea al Governo». Sono le 7 di sera del 5 giugno, ed a Catania la «luna di miele» dell'esecutivo Prodi è già finita. Ma se gli scioperanti siciliani annunciano manifestazioni, i sindacati di base passano ai fatti. È il 7 giugno ed i Cub (Comitati Unitari di Base) lamentano il loro mancato coinvolgimento nella trattativa per la definizione del Dpef. «Prodi non ci ha invitato a colazione assieme a Epifani, Bonanni e Angeletti» spiega Pierpaolo Leonardi, coordinatore nazionale del movimento. Non un semplice invito ma «l'esclusione dalle relazioni sindacali». E così per tutta risposta i Cub organizzano sotto le finestre del presidente del consiglio il «Mortadella party». Dalla mortadella al pinocchio d'oro. Il 23 giugno, alle soglie del referendum costituzionale sulla devolution, i referendari armati di pinocchio e cartelloni manifestano davanti a Palazzo Chigi. Scopo della protesta? «Denunciare le colossali bugie dette dal governo Prodi sul taglio dei parlamentari previsto dalla riforma della CdL». Passano solo quattro giorni ed il 27 giugno è nuova manifestazione. Stavolta sono i Cobas con la partecipazione anche di parlamentari della sinistra radicale a sfilare. Sotto accusa il decreto del governo per il rifinanziamento della missione in Afghanistan. Nuovo mese, ma stessa musica. Il 5 luglio tocca ai taxisti scioperare. Motivo dello scontro il decreto Visco-Bersani che prevede il temuto cumulo delle licenze. Ore di tensione, cori da stadio e slogan contro Prodi ed il ministro Bersani. Ma alla fine, in serata, il governo decide di trattare per modificare il decreto. Il 12 luglio è la volta della carovana No-Tav. Sit-in degli amministratori della Val di Susa per protestare contro la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità. Diciassette luglio, tornano il piazza i taxisti. Le trattative con il governo non vanno a buon fine, ed allora circa 2mila taxisti assediano Roma. Da piazza Santi Apostoli fino ai margini di Palazzo Chigi, che per motivi di sicurezza stavolta è stato «blindato». Alla fine retromarcia del governo sul decreto. Chiusa la partita con i taxisti si apre quella con i farmacisti. Camice bianco e volantini in mano si radunano sotto il balcone del premier il 19 luglio. Nuovamente sotto accusa il decreto Visco-Bersani che prevede la possibilità di vendere i farmaci da banco anche nei grandi supermercati. Giornata nera, invece, il 21 luglio. Due le categorie professionali in protesta: avvocati ed ingegneri contro il decreto Bersani. A sfilare per primi sono gli avvocati. Corteo spontaneo al grido di «Prodi-Bersani, per voi non c'è domani» fino a Palazzo Chigi. In tutto trecento. Ore di tensione con le forze dell'ordine, ma alla fine gli avvocati riescono ad ottenere un incontro con il governo. Nelle stesse ore puntano su Palazzo Chigi anche gli ingeneri. Meno numerosi, in tutto circa duecento, ma altrettanto decisi a contestare l'esecutivo. Stessi slogan, stessi cori. Per loro nessun incontro con il governo che, per evitare l'assedio, a fine riunione si defila alla spi