Il premier lasciato solo dall'Unione
Arriva e fa finta di non vedere che i colleghi del governo hanno lasciato libera una sedia tra i banchi dell'esecutivo. Il vicepremier fila dritto, passa davanti al premier e si va a sedere tra i banchi del suo partito. «È stato un banale ritardo, nulla di politico», si giustifica un deputato di fede dalemiana. Sarà. E allora che dire dell'altro vicepremier, Francesco Rutelli, giunto puntuale in aula ma che va via appena il Professore comincia a piegarsi sulle gambe per sedersi a intervento finito. Anzi, non va via: schizza fuori dalla sua poltrona al fianco del premier e fugge via dall'aula. Così rapidamente che quelli del suo partito che lo aspettavano per parlargli sono costretti a ricorrerlo. È tutta racchiusa qui, in questi due gesti, la freddezza, il vero e proprio gelo con il quale il premier è stato accolto in aula dalla sua stessa maggioranza. O meglio, dai due principali partiti che lo sostengono, i Ds e la Margherita. Mentre Prodi parla c'è chi dorme (tra i banchi dei Dl), chi legge i giornali (tra le file della Quercia). Rifondazione ha diversi banchi sguarniti. E gli applausi che riesce a raccogliere il Professore sono appena due. Il primo dopo quasi un'ora che è a Montecitorio (ma a quel punto aveva parlato solo mezz'ora perché la seduta era stata sospesa per le interperanze della Cdl). La maggioranza batte le mani soltanto quando si invocano «regole chiare» nel settore delle telecomunicazioni. Insomma, è un attacco indiretto a Berlusconi. L'unico vero collante del centrosinistra. Perché dalla seduta di ieri della Camera emerge ancora una volta la distanza abissale tra il presidente del Consiglio e i suoi deputati. La riprova arriva quando prende la parola Piero Fassino. Anche per lui i veri applausi arrivano quando spara contro il Cavaliere: «Sarebbe facile - ricorda il segretario dei Ds - ricordare a chi ha rimproverato al Presidente del Consiglio una battuta, che non era riferita, evidentemente, al Parlamento, che il Presidente del Consiglio precedente, l'onorevole Berlusconi, per cinque anni non ha ritenuto di venire mai a rispondere alle interrogazioni dei parlamentari di questo Parlamento!». Ma il gelo traspare anche in quello che Fassino non dice. Non nomina mai Angelo Rovati, il consigliere del premier poi dimessosi per aver inviato a titolo personale un piano di riassetto ai vertici Telecom. Glissa elegantemente sull'intero caso. E prova a spostare il discorso sul futuro delle telecomunicazioni, sui destini delle infrastrutture di rete, sul domani di Telecom. In pratica, non parla mai a difesa diretta del premier. D'altro canto a Rutelli, per esempio, non piace nemmeno il giochino di Prodi che si mette a ripetere all'infinito la stessa frase per prendersi i fischi della Cdl e, visto che c'è la diretta tv, dimostrare che i veri bambini laddentro sono quelli dell'opposizione che fanno chiasso come in un'aula di scuola. Al leader della Margherita lo scherzetto di Prodi non piace e gli mette una mano sul braccio sussurrandogli: «Vai avanti, vai avanti con il discorso». Piombano sulla maggioranza le difficili ore della Finanziaria, i litigi, gli scontri, la diffidenza e facce scure dei ministri seduti tra i banchi del govenro (c'erano da Amato e Pecoraro, da Fioroni a Chiti, da Di Pietro a Parisi). Ancora più inquietante è il senso di vuoto che aleggia nell'aula all'applauso finale per Prodi. Si vedono mani agitarsi, ma non è un battimani caloroso. Sembra un saluto di circostanza, come il «buongiorno» o la «buonasera» al fastidioso vicino di casa. Niente entusiasmo tra le fila dei centristi, per non parlare della sinistra. Tra i banchi di Rifondazione applaudono solo Giordano e Migliore. Tra quelli del governo è solo Sergio D'Antoni a sbracciarsi. Silvio Sircana, il portavoce del premier, se ne sta sprofondato nel suo scranno. Si avvicina a Fassino, parlocchiano. Aria mesta nell'Unione. Ci si scambia biglietti. Uno lo manda proprio Prodi, via commessi, al leader della Quercia che lo riceve quasi sigillato: