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di SALVATORE DAMA ORE 15 meno qualche minuto.

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Chiacchiera con deputati di An e Forza Italia. Quasi a voler dire: «Non gli fate troppo male». Raccomandazione inutile. Romano Prodi comincia il suo discorso. Le sedie accanto a lui sono vuote. «Al presidente del Consiglio sono state rivolte accuse infamanti. Ma vedrete finirà come con Telekom Serbia. Una bolla di sapone». Buuuu. L'opposizione comincia a scaldarsi. «Non sono mai stato a conoscenza di alcun piano su Telecom Italia. Le dimissioni e le spiegazioni di Angelo Rovati tolgono ogni dubbio». È la prima e l'ultima volta che Prodi cita il suo ex consigliere. Intanto arriva Massimo D'Alema. Il Professore sta già parlando da un qualche minuto. Il ministro degli Esteri, quindi, vuole marcare la distanza. Siede tra i deputati Ds. Mastica la cicca. Invia sms. Prodi prova a tirare in ballo gli altri: «I vertici Telecom hanno richiesto incontri anche con altri esponenti del Governo». Fassino scuote la testa. La chiamata in correo cade nel vuoto. Ora il Professore parla di dirigismo. Roba che - dice lui - non gli appartiene: «Per me in particolare sarebbe anche sconfessare parte della mia storia professionale, visto che da presidente dell'Iri...». Urla. Applausi ironici. L'opposizione si scatena. Prodi prova a riformulare la frase: «Per me in particolare...». Niente. Dal centrodestra piovono ancora insulti. Il premier allora si intestardisce. Ci riprova la terza, la quarta, la quinta volta. L'opposizione scandisce lo slogan: «Co-ra-ggio, Prodi è di passaggio!». Bertinotti perde la pazienza. Anche un po' col capo del Governo però: «La prego, Presidente vada avanti». Come dire: salta il pezzo dell'Iri. Niente, Prodi non ne vuole sapere. «Per me in particolare...». Una geremiade. D'Alema, Fassino, Rutelli. Facce scure. Al nono «Per me in particolare», il presidente della Camera sospende i lavori. E convoca una capigruppo. «Glielo rifaccio altre mille volte!», si sfoga Prodi con il ministro Vannino Chiti. Trenta minuti di sospensione. Prodi rimate tutto il tempo a braccia incrociate. Dialoga fitto. Parla coi ministri Mastella e Fioroni. «Dai Romano, chiudi questa pratica. Ci aspetta la finanziaria». L'aula riprende. Prodi non molla: «Per me in particolare...». Stavolta però lo lasciano proseguire. «Negli anni dell'Iri ho avviato le più grandi privatizzazioni...». «Cirio!», urla Elio Vito (Fi). «Da parte del Governo non c'è stata nessuna interferenza verso Telecom». Ah, Ah. Risata da operetta. «Il capitalismo italiano va riformato. Occorrono regole e trasparenza». Qui il Professore strappa l'unico applauso della maggioranza. Peraltro poco convinto. «Voi», si rivolge all'opposizione, «che avete fatto? Solo depotenziato le authority. E questo lo chiamate liberismo?». Domanda retorica. Giulio Tremonti (Fi) aspetta il suo intervento per replicare. A muso duro. «Nel '96 fu Prodi a mettere il capitale di Telecom sul mercato senza che vi fossero capitalisti. Ora vorrebbe riprendersela». E ancora: «Rovati era il suo consigliere. Che economia le consigliava? Quella domestica!». Gentiloni ride. Tocca a Fini. Che adombra un piano. «Rovati voleva acquisire Telecom attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. E guardacaso, al suo vertice doveva finire Costamagna, più prodiano dei prodiani». Il Professore scuote la testa. Nega. Parla Fassino. Aveva chiesto di parlare dopo Fini e Tremonti. E si intuisce perché. Il segretario Ds sorvola su Prodi e picchia duro sull'opposizione. Attacca Berlusconi («il suo è il vero conflitto di interessi»). Dà addosso a Tremonti («Le sue erano finanziarie fasulle»).

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