Ds, battaglia tra rigoristi e spendaccioni
Il segretario Fassino fa da paciere e mette la sordina alle richieste dei ministri
Ma, a due giorni dal varo della manovra in Consiglio dei ministri, i Ds, partito-pilastro con nove ministri al governo, vivono stretti tra la necessità di sostenere il premier Prodi e le preoccupazioni di trovare un punto di equilibrio tra tagli e sviluppo. Una fibrillazione accentuata dal nodo del Partito Democratico, con le minoranze interne, Mussi in testa, sul piede di guerra in vista del seminario di Orvieto. La giornata della Quercia si apre con un confronto a viso aperto. L'ufficio di presidenza, convocato per discutere del Partito democratico e del prossimo appuntamento di Orvieto è saltato per il voto in bilico in Senato e gli impegni di finanziaria di alcuni ministri. Fassino prima di incontrare Prodi ha riunito ministri, viceministri e sottosegretari della Quercia per fare il punto sulla manovra e dare sfogo alle fibrillazioni. E se particolarmente nervoso sul capitolo tagli appare il ministro e leader del Correntone Fabio Mussi, che già in passato aveva minacciato le dimissioni se i fondi per la ricerca non fossero stati garantiti, anche gli altri ministri non ridono. Per i Ds, come spiega il vicepresidente dei deputati dell'Ulivo e membro della segreteria Ds Marina Sereni, «su temi come la ricerca, la scuola e il finanziamento del fondo per la non autosufficienza non si transige». Perchè, se i vertici Ds sono in prima fila sulla linea del risanamento e del rigore, la preoccupazione è che tagli in alcuni settori mandino un messaggio contrario a quello di innovazione e rilancio, leit-motiv della campagna elettorale. «Se il paese - è l'allarme lanciato da Mussi - non vuole mangiarsi il suo futuro occorre che una quantità sufficiente di risorse venga investita in formazione, scuola, università e ricerca». Fassino e D'Alema si sarebbero trovati a fare da pompieri e ad evidenziare il dovere di lealtà e di responsabilità nel momento in cui il governo sta uscendo dalla bufera Telecom. «Siamo chiamati - è il richiamo alla responsabilità che da giorni ripete il leader Ds - a fare tornare il debito sotto il 3% e a realizzare una maggiore equità nella distribuzione dei redditi». Ad agitare le acque della Quercia si aggiunge il nodo del partito democratico e l'eterna contrarietà delle minoranze interne. Questa volta il terreno di scontro è il seminario di Orvieto, fortemente voluto da Prodi ma anche da Fassino per rilanciare il cantiere e dare il via alla stesura del manifesto del partito che verrà. Il Correntone annuncia battaglia. E non aiuta certamente il clima generale la presa di posizione del coordinatore dell'esecutivo della Margherita Antonello Soro per il quale il primo passo verso il partito nuovo «è la disponibilità ad accettare che il Pd non sarà un partito socialista».