Il segretario di Rifondazione Giordano
Anche perché la nostra posizione è nota e, soprattutto, indipendente dal fatto odierno». Il segretario di Rifondazione Comunista Franco Giordano non nasconde il proprio dolore per quella che definisce «un'ulteriore drammatica prova delle nefaste conseguenze della spirale di guerra e terrorismo». Nel giorno in cui la Camera discute della missione in Libano a Kabul muore un nostro soldato. Sembra un caso, ma su Medio Oriente e Afghanistan, Rifondazione ha idee differenti. «Oggi è il momento del dolore e della solidarietà alle famiglie della vittima e dei nostri militari feriti ai quali esprimo i miei auguri per una pronta guarigione. Detto questo noi ci sentiamo fortemente coinvolti nell'azione che il governo italiano ha avviato in Medio Oriente, dove le nostre truppe svolgeranno una funzione importante, chiaramente ed esplicitamente, di pace». E l'Afghanistan? «Sulla missione a Kabul la nostra posizione è nota. Io penso che quella in Afghanistan è stata una guerra sbagliata. Anche se ci tengo a sottolineare che non nutro nessuna simpatia per i talebani». Allora perché è stata una guerra sbagliata? «È l'idea di utilizzare la guerra per risolvere i problemi ad essere sbagliata. Dopotutto il fallimento della politica della guerra preventiva oggi viene riconosciuto anche da importanti settori politici negli Usa e in Gran Bretagna». Qual è, quindi, la vostra proposta? «Noi proponiamo di investire in Medio Oriente per poter determinare le condizioni di una pace duratura e ottenere il grande risultato di una conferenza internazione che dia uno Stato al popolo palestienese. Dobbiamo di guardare al Mediterraneo, e portare avanti politiche che non siano unilaterali». Nella maggioranza, però, non tutti sono d'accordo sull'opportunità di abbandonare Kabul? «Io credo che, nella maggioranza, si debba aprire un confronto perché il governo determini le condizioni per il superamento della missione in Afghanistan. Dobbiamo disinvestire dal punto di vista militare lasciando a Kabul solo la cooperazione civile». Non teme che, senza militari, la situazione precipiti? «Le forme di cooperazione al seguito delle missioni militari mascherano sempre una qualche forma di intervento militare. Invece, ci sono, interventi di cooperazione, penso al caso di Emergency a Kabul, che lasciano segni positivi. La nostra preoccupazione deve essere quella di solecitare e determinare, anche a Kabul, la democrazia. Ma la democrazia, non si esporta con la guerra». N. I.