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«C'è qualcuno che non ha vinto le elezioni ed è anche contento di non averlo fatto»

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È assurdo porre la questione della leadership ed è stato questo uno dei motivi della sconfitta. Quanto a Casini «non si può un giorno stringere la mano a Teheran a un dittatore di turno e poi, tornati in Italia, telefonare a Prodi per manifestare assieme all'ambasciata indonesiana». È un affondo in piena regola quello con cui l'ex presidente del Senato Marcello Pera, al convegno di destra protagonista «Dormo o son destro?» attacca frontalmente l'Udc e il suo leader. Ma non solo i post-Dc sono il bersaglio delle sue critiche: Pera non risparmia neanche il Carroccio dando al capogruppo alla Camera Roberto Maroni dell'«andreottiano». L'occasione per il gran rientro della ex seconda carica dello Stato nell'agone politico la offre una tavola rotonda organizzata da Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa sulle prospettive del centrodestra, alla presenza di Roberto Formigoni, Sandro Bondi, Roberto Maroni, Rocco Buttiglione, oltre allo stesso Pera. Fin dal primo intervento Pera riflette sulle cause della sconfitta elettorale, attaccando chi «non ha vinto le elezioni ed è contento di non averlo fatto». Un implicito riferimento all'Udc che poi emerge sempre con maggiore chiarezza: «Dopo un anno di governo c'era già chi metteva in dubbio la leadership. Poi, invece di concentrarsi sul futuro partito della libertà abbiamo avuto una incomprensibile crisi di governo che ha portato al Berlusconi-bis». Ma l'accusa di Pera all'altro ex presidente di uno dei rami del Parlamento coinvolge anche l'aspetto assai delicato della difesa dei valori cristiani: «Per cinque anni da solo ho ricordato quanto fosse decisivo difendere la tradizione cristiana. È evidente che su questo campo la parola "moderato" non vuol dire nulla. Non si stringe la mano al dittatore di turno a Teheran e poi, tornati in Italia si telefona a Prodi per organizzare assieme una manifestazione all'ambasciata indonesiana». Rocco Buttiglione ha evitato di difendere per interposta persona il presidente Casini ma ha preferito ricordare, tra i brusii della sala, che «la Cdl è finita» perché è finito anche il modello di partito «televisivo». «Sul territorio, diciamoci la verità, ci stiamo poco e non si fa un nuovo partito sommando tre partiti che praticamente non esistono». Ma è quando parla dell'esistenza di un «elettorato moderato non berlusconiano», che dalla platea piove qualche fischio: «Guardate che — sottolinea Buttiglione — senza quel tre per cento di voto moderato non perdevano di 26 mila voti ma di molto di più». Dal canto suo anche Roberto Maroni, seppur per motivi opposti, osserva che «la Cdl in Parlamento non c'è più». «Basta vedere i voti sul decreto in Libano per capire che mentre noi pensiamo di far cadere Prodi nel più breve tempo possibile, c'è chi continua a fare aperture di credito». Ma Maroni, pur confermando che la Lega ha sciolto ogni legame con il centrodestra, non taglia i ponti alle sue spalle: «Siamo comunque pronti a ridiscutere un nuovo patto con il centrodestra, analogamente a quello che ci ha visto con successo al governo per cinque anni». Ma anche questa timida apertura di Maroni non basta a Marcello Pera che arriva a tacciarlo di essere «andreottiano». «Cosa vuol dire che la Cdl non c'è più, cosa ci manca? Maroni — insiste tra gli applausi Pera — come ministro potrebbe esibire un medagliere di tutto riguardo per le riforme fatte. Invece lo sento oggi regredire a dire le stesse cose che dice Casini. Mi sembra un atteggiamento politico degno di un andreottiano».

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