Interrogati dal gip a Milano i due principali indagati
Tra inusitate misure di sicurezza per depistare i cronisti, sono stati interrogati dal gip Paola Belsito l'investigatore privato Emanuele Cipriani e l'ex responsabile della sicurezza di Telecom, Giuliano Tavaroli, entrambi arrestati mercoledì scorso assieme a diversi altri coinvolti nell'inchiesta. Cipriani, titolare della società di investigazioni fiorentina Polis d'Istinto, cui Pirelli e Telecom affidavano incarichi consistenti (così come erano consistenti, secondo l'accusa, le fatture gonfiate alla base dell'appropriazione indebita per una ventina di milioni di euro che gli è contestata), «ha proseguito la sua collaborazione con i magistrati e ha reso ulteriori dichiarazioni». Così ha detto uno dei suoi legali, Mario Taddeucci Sassolini. Per l'altro avvocato di Cipriani, Vinicio Nardo, «il mio assistito ha collaborato con i magistrati» e l'interrogatorio aveva lo scopo «di capire in quali aspetti» Cipriani non ha convinto i magistrati inquirenti. «Sono innocente su tutti i reati», ha detto invece davanti al gip Giuliano Tavaroli. Il quale, come spiegato dai suoi difensori, Massimo Dinoia e Nicolò Pelanda, avrebbe fornito chiarimenti «senza fare nessuna ammissione in merito alle accuse». In sostanza, l'ex manager di Telecom avrebbe sostenuto di non sapere in che modo Cipriani compisse le sue indagini per raccogliere informazioni, in particolare su dipendenti Telecom e Pirelli. L'avvocato Dinoia ha poi voluto precisare che «non esiste nessuna intercettazione illegale contestata dalla Procura». Il legale ha anche sottolineato che l'ex manager della sicurezza Telecom ha fornito una «consulenza tecnica, in seguito agli attentati di Londra, richiestagli da Telecom sulla base della sua enorme esperienza antieversione. Anche l'Italia si trovava a rischio attentati e a lui fu chiesta una consulenza, iniziata a fine settembre del 2005 e cessata nel gennaio del 2006». Tavaroli, inoltre, «non riferiva al presidente di Telecom, Marco Tronchetti Provera, ma all'amministratore delegato Carlo Buora. Basta leggere l'organigramma di Telecom per capirlo», ha sottolineato Dinoia. Era stato un testimone nell'inchiesta a riferire che l'ex carabiniere diventato capo della sicurezza «godeva di ampia autonomia» all' interno del settore security di Telecom e «non dettagliava le attività compiute tanto nel contenuto quanto nelle dimensioni, agiva con grande frequenza mediante operazioni fuori sistema, e non riferiva sostanzialmente a nessuno, se non al Presidente».