Il retroscena

E ci riesce. Ma anche due sindacalisti. Uno dell'ala più moderata del centrosinistra, il presidente del Senato, uno di quella più «radicale», il presidente della Camera. Due sindacalisti, uniti nella difesa del Parlamento. Ambedue, chi in un modo e chi in un altro, hanno avuto un ruolo determinante nel farsi «portavoce» delle istanze del Paese e, involontariamente, di quelle del centrodestra. Nell'altalenante telenovela dell'audizione del premier in Parlamento, Franco Marini e Fausto Bertinotti sono stati un po' i «Collina» delle due Camere: corretti, imparziali, impeccabili. E alla fine (il primo con le sue decisive dichiarazioni, il secondo con la sua risolutiva mediazione), sono riusciti a centrare l'obiettivo. Cioè a convincere il presidente del Consiglio a riferire di persona a Montecitorio, e poi a Palazzo Madama, sulla vicenda Telecom. La richiesta dei due rami del Parlamento era precisa. Giustificata anche dal botta e risposta fra Prodi e Marco Tronchetti Provera. E da una doppia dimissione, quella dell'imprenditore da presidente dell'azienda telefonica, quella di Angelo Rovati da consigliere economico del premier. I dubbi, insomma, andavano chiariti dallo stesso capo del governo. Non era sufficiente che al suo posto rispondesse il responsabile delle Comunicazioni. Già il 16 settembre Bertinotti, alla Festa di Azione Giovani, aveva sottolineato che su un fatto così importante, «il Parlamento» doveva «essere messo nelle condizioni di confrontarsi con il Governo». E, per chi non aveva capito l'antifona, due giorni più tardi, il 18, aveva ribadito: «È obbligatorio che il governo intervenga in aula». Per articolare, il giorno seguente, il suo «messaggio»: «Mi pare che sia una cosa importante per il Paese che su un tema strategico come quello delle telecomunicazioni, e in particolare sulla vicenda Telecom, il Parlamento riassuma la sua autorità impegnandosi a un dibattito su questa questione strategica con la presenza del presidente del Consiglio in Parlamento giovedì 28 settembre alle ore 15». Pure l'altro «Collina» delle istituzioni (tre mesi fa protagonista e «vittima» di una sofferta votazione per il suo insediamento sulla scranno più alto di Palazzo Madama) ha mantenuto le promesse di imparzialità e ha mediato per ben due volte nell'arco di poche ore con il riottoso premier. Fino a persuaderlo che doveva rispondere anche alle domande dei senatori. Con un duplice successo. Quello «tecnico». E quello di immagine. Una novità molto positiva dopo mesi di contrapposizione verbalmente violentissima fra i Poli. Quasi una rivoluzione. Mau. Gal.