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Il Cavaliere si chiama fuori

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Ma i fronti su cui ragionare rimangono tre. C'è il capitolo aziendale, con una Telecom oggettivamente in difficoltà sia sul mercato sia nella propria situazione finanziaria. C'è un capitolo politico, culminato nei rapporti non corretti tra uffici di palazzo Chigi e vertici dell'azienda (e su quello dovrà rispondere Prodi quando finalmente si concederà all'ascolto dei parlamentari). E ce n'è uno giudiziario, o meglio due filoni giudiziari. Uno romano, legato a eventuali reati commessi nella fase concitata della diffusione dei piani di ristrutturazione, e quello clamoroso milanese delle intercettazioni, per il quale cominciano a conoscersi particolari impressionanti, a partire dalle liste delle persone intercettate (con molte coincidenze sospette quando si vadano a confrontare le telefonate pubblicate sui giornali nei giorni caldi ad esempio di calciopoli). I tre capitoli si influenzano tra loro, ma vanno analizzati separatamente. Per il primo, quello aziendale, la novità è la decisione con cui Silvio Berlusconi (e prima di lui il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri) ha chiarito che Mediaset non è interessata a Telecom. «Non c'è - ha detto - e non c'è mai stato un interesse di Mediaset per Telecom». Berlusconi parlava da azionista, quindi senza entrare nella gestione ordinaria dell'azienda, ma anche a nome della famiglia, quindi dei figli Piersilvio e Marina. «Nessuno dei vertici Mediaset ha mai espresso la volontà di entrare nell'azienda telefonica», è stata la spiegazione più approfondita data da Confalonieri, che ha parlato anche di un «polverone che può fare comodo a chi vuole che Berlusconi torni a fare l'imprenditore e la smetta di fare il politico». E in effetti proprio su quella falsariga si era espresso due giorni fa, tra gli altri, il quotidiano della Margherita, Europa, immaginando un Berlusconi che, per conquistare Telecom, si liberasse dal conflitto di interessi uscendo dalla competizione politica. I consigli di Europa sono certamente da prendere in considerazione, ma evidentemente Berlusconi preferisce anche questa volta ragionare secondo le proprie inclinazioni. E poi non bisogna mai farsi accecare dall'apparente sicurezza di un progetto di business. La storia è piena di progetti industriali che sulla carta avevano tutto per funzionare e poi hanno prodotto solo perdite. Evidentemente anche quella convergenza tra televisione (quindi anche i famosi contenuti televisivi) e distribuzione attraverso la rete telefonica a banda larga che tutti gli esperti indicano come la via del futuro può avere delle pecche, o, almeno, non è affatto detto che si debba passare per Telecom, almeno per come l'azienda telefonica, ammaccata da una gestione non brillante e dalle micidiali inchieste giudiziarie aperte, si presenta in questi giorni. Restano però in corsa altri gruppi imprenditoriali pronti a rilevare il controllo dell'azienda telefonica. Conferma il suo interessamento il manager della Mc Donald's e consigliere di amministrazione della Mondadori e dell'Eni Mario Resca (in buoni rapporti con la famiglia Berlusconi). Avrebbe avuto mandato da investitori esteri per sondare la possibilità di partire all'attacco della Telecom, sfruttandone, ha detto, potenzialità e debolezze. Mentre un altro gruppo (dopo la cordata bancaria italiana sulla quale sono circolate voci ma che sembra interessata soprattutto a fare in modo che le banche escano dall'esposizione verso il gruppo senza perdite) si starebbe affacciando. A guidarlo un ex di grande peso, Marco De Benedetti, artefice del successo della Tim, poi esautorato, e ora pronto a tornare alla carica alla guida di un gruppo di fondi ben dotati finanziariamente. Il suo interesse sarebbe concentrato soprattutto sulla telefonia mobile. La convergenza con la televisione, insomma, arriverà dopo. Quando un nuovo gruppo

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