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di DARIO CASELLI POCO più di una settimana.

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Compattare un'opposizione che sembrava essere caduta in una crisi di nervi irreversibile e dividere la sua maggioranza. Dichiarazioni a ruota libera che alla fine hanno messo sempre più in difficoltà l'Unione. Sembra quasi di rivedere lo stesso schema del'98, quando il professore fu messo alla porta dalla cordata D'Alema-Marini. Lo schema potrebbe ripetersi, perché è evidente che i partiti del centrosinistra mal sopportano un Prodi «battitore libero». Tutto in poco più di una settimana. Si inizia l'11 settembre, quando Tronchetti Provera annuncia il suo piano di riassetto del gruppo Telecom. Il giorno dopo Prodi spiega di non saperne nulla, anzi: «La mia reazione è di sorpresa». Sarà. Passa un giorno ed il premier parte per la Cina. Scoppia il caso e dai giornali arriva la conferma di un piano del Governo sull'azienda di Tronchetti con la partecipazione del consigliere economico di Prodi, Angelo Rovati. Il professore fa finta di niente ed arrivato a Nanchino chiosa: «La Cina è vicina, ma l'Italia è lontana». Non tanto perché Fausto Bertinotti il 14 settembre inizia l'operazione sganciamento dal premier ammettendo seraficamente: «Se Prodi non sapeva non lo so: Io non sto a Palazzo Chigi». Intanto dai Ds e dalla Margherita freddezza. Rutelli si mantiene alla larga e dice: «Per quanto ci riguarda bisogna avere un quadro strategico prima di commentare che ancora non abbiamo». Si arriva al 15 e dinanzi alla CdL che chiede al Governo di intervenire Prodi ribatte: «Ma stiamo diventando matti?». Un secco no, che però non piace soprattutto alla sua maggioranza che lo incalza. È Capezzone ad attaccare: «Non staremo a guardare. La cosa migliore sarebbe che l'esecutivo rispondesse in Aula». Il fuoco di fila continua con Mastella che chiede di «informare sulle future linee politiche del settore». Con Cacciari: «Prodi riferisca in Parlamento» e con Bertinotti che tuona: «È obbligatoria» l'informativa del Governo in Aula. Tre giorni di assedio e alla fine Prodi, lasciato solo, capitola e il 18 annuncia l'intervento alla Camera, perché «il presidente del consiglio non va ai due rami del Parlamento. Al senato andrà un rappresentante del Governo». Non la pensano così i compagni di partito e soprattutto il presidente del Senato Marini. Così Prodi cambia idea. È il 21 quando decide di andare a Palazzo Madama. Finito qui? No Prodi apre un nuovo caso: è il 18 settembre e propone di togliere l'embargo della vendita di armi alla Cina. Gelo nell'Unione ed in Europa. La Commissione Europea bacchetta Prodi chiedendo prima il rispetto dei diritti umani, mentre Agnoletto, eurodeputato di rifondazione si dice «totalmente sbalordito, come pacifista e come membro della commissione diritti umani». Ancora. È il 19 e il premier va a New York per l'assemblea generale dell'Onu. Mentre Bush richiama l'Iran al rispetto del diritto internazionale e contro la proliferazione delle armi nucleari, il premier annuncia la volontà di incontrare il presidente iraniano Ahmadinejad «per parlare chiaro ed esporre la nostra posizione». Nuovo incidente diplomatico con l'Ue che lamenta uno sgarbo al rappresentante estero europeo Solana. Così il professore cerca di appianare spiegando di «non voler indebolire Solana». Ma la frittata è fatta ed anche in Italia l'incontro non va giù. Sempre Capezzone che parla addirittura di «deriva di accomodamento del premier rispetto ai dittatori». E per finire Prodi entra in contrasto anche con il Papa. È il 20 settembre e quando qualcuno gli chiede se il governo italiano rafforzerà la tutela a favore del Pontefice, il professore ammette: «Alla sicurezza del Papa ci penseranno le sue guardie». Un Prodi novello Cavour: libera Chiesa in libero Stato.

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