Caso Telecom, il premier sarà alla Camera il 28 settembre
L'esecutivo va sotto al Senato e adesso «scricchiola»
Romano Prodi, dopo l'ennesima giravolta, si presenterà alla Camera per un'informativa sul «caso Telecom». La decisione è stata presa al termine di una giornata che non ha risparmiato colpi di scena e che ha registrato, tra l'altro, la prima sconfitta dell'Unione in Aula a Palazzo Madama. Tutto è cominciato ieri mattina con il ministro per i Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti che, forte dell'accordo raggiunto lunedì sera all'interno della maggioranza, si è presentato alla conferenza dei capigruppo. Sembrava già tutto deciso. Con il Professore a New York per partecipare all'assemblea generale dell'Onu, l'onere di riferire in Parlamento sarebbe toccato al ministro della Comunicazioni Paolo Gentiloni. Una scelta in qualche modo obbligata, ma dettata anche dalla volontà, da parte del governo, di ricondurre l'intera vicenda nell'alveo della discussione politica sul futuro industriale del Paese. Chiti, però, non aveva fatto i conti con la Cdl, che ha alzato il muro e ha chiesto a gran voce la presenza del premier in Aula. A questo punto, di fronte alla possibilità che lo scontro degenerasse e si arrivasse a una forzatura, il presidente della Camera Fausto Bertinotti ha deciso di vestire i panni del mediatore. Ha proposto di rinviare qualsiasi decisione al pomeriggio e ha chiesto a Chiti di contattare il premier per verificare la sua disponibilità a presentarsi in Aula. E Prodi ha ceduto. Gli era già capitato due volte in questi giorni. La prima all'inizio della vicenda Telecom quando, di fronte al progetto di Tronchetti Provera, si era mostrato «sorpreso», salvo ammettere il giorno dopo che qualcosina sapeva. Poi con il «piano-Rovati». Difesa orgogliosa dell'amico di sempre fino alle inevitabili dimissioni. Ieri l'ennesimo cambio di direzione con il passaggio dal «siamo matti?» di venerdì, al «verrò il 28 settembre». Così, mentre la Cdl ringraziava Bertinotti per aver dimostrato le sue qualità di «presidente di garanzia», la domanda è nata spontanea: cosa ha convinto il premier a cambiare idea? Ma soprattutto, perché non ha dato già la scorsa settimana la propria disponibilità a venire in Aula? Il problema sembra essere soprattutto politico. La vicenda Telecom ha creato più di un malumore all'interno della maggioranza con Ds e Margherita che non hanno affatto gradito i personalismi del Professore. Così, da qualche giorno, il premier è finito nell'occhio del ciclone. Qualcuno ha cominciato a parlare di pressioni della Quercia per far dimettere Angelo Rovati. Altri addirittura di imminente «commissariamento» del Professore sulle materie economiche. Fatto sta che, quando Bertinotti, generando irritazione tra gli alleati, ha proposto di chiedergli di venire in Aula, il premier non ha avuto scelta: perso lo «scudo» dei due principali partiti della coalizione, ha deciso di difendersi da solo. Magari, è questa l'interpretazione dei più, rinsaldando l'asse con Bertinotti e la sinistra radicale che, non solo non lo ha mai attaccato in questi giorni, ma ha addirittura apprezzato il contenuto del «piano-Rovati» che prevedeva il passaggio sotto il controllo pubblico della rete telefonica di Telecom Italia. Anche ieri, ad esempio, il presidente della Camera ha ribadito che «in settori strategici come sono le telecomunicazioni ci vuole una grande capacità di impresa privata e anche di iniziativa pubblica». A parziale conferma del momento difficile del premier arriva la prima sconfitta per la maggioranza a Palazzo Madama. Una sorpresa che, per qualche ora, ha addirittura rischiato di mettere in forse l'accordo faticosamente raggiunto nel corso della giornata. In serata, infatti, l'Unione è andata sotto al Senato e, con 151 voti a favore, 148 contrari e un astenuto (secondo un conteggio approssimativo erano assenti 8 senatori della maggioranza tra cui il ministro Livia Turco), è passata una proposta del presidente dei senatori azzurri Renato Schifani che ha anticipato il dibattito su Telecom a domani. Schifani ha invitato Prodi ad «assumersi le proprie responsabilità» e