di NICOLA IMBERTI DA oggi Romano Prodi non ha più il suo «Angelo custode».
Dopo una settimana di polemiche Angelo, l'ex cestista, l'amico di sempre, lo «pseudotesoriere» del Professore (è l'uomo che ha raccolto i fondi per le due campagne elettorali di Prodi nel 1996 e quest'anno), ha gettato la spugna. E lo ha fatto a modo suo. Con una lettere consegnata direttamente al premier a Pechino, ultima tappa del suo tour cinese. Una lettera che è il frutto di una scelta sofferta su cui hanno pesato considerazioni politiche (valutate insieme a Prodi), ma anche «aspetti strettamente familiari» come il fatto che la sua vita privata sia stata spiattellata sui giornali. «Caro Romano - scrive Rovati -, ritengo doveroso, per sgombrare ulteriormente il campo da ogni strumentalizzazione, di rinunciare all'incarico di consigliere politico-economico presso Palazzo Chigi appena rientrato in Italia. Resta il rammarico perché una mia iniziativa presa esclusivamente a fini costruttivi e sicuramente condotta con un eccesso di fiducia sia stata travisata al solo scopo di danneggiare te e il tuo governo. Con immutato affetto, Angelo». Una mia iniziativa, scrive Rovati: e non più «a titolo personale», come aveva detto. In realtà dietro le dimissioni del consigliere economico di Palazzo Chigi sembra nascondersi molto di più di una semplice disputa sull'opportunità o meno di un'iniziativa singola che, alla lunga, si è rivelata quantomeno «inopportuna». Il gesto di Rovati non è piaciuto non tanto all'opposizione che ha ovviamente colto la palla al balzo per attaccare l'esecutivo, quanto all'interno della maggioranza. E così Prodi è lentamente finito sotto il fuoco incrociato di tutti i partiti dell'Unione. I più arrabbiati sono ovviamente i Ds. Ieri Massimo D'Alema ha diffuso una nota con la quale smentisce le ricostruzioni giornalistiche secondo cui, in alcuni colloqui telefonici con Prodi, avrebbe chiesto le dimissioni di Rovati e espresso giudizi negativi sull'operato del premier. Ma al Botteghino si respira un'altra aria. «Il partito - dice un deputato della Quercia - è trasversalmente arrabbiato con Prodi per quello che è successo». A nessuno, infatti, è piaciuto che il Professore abbia cercato di condurre in proprio l'intera vicenda Telecom. E anche i «prodiani» lasciano intendere che, dietro le dimissioni di Rovati, ci sarebbero in realtà le pressioni della Quercia. Anche la Margherita, però, non sta a guardare. Gli attacchi di Europa, il quotidiano del partito, a Rovati e al premier sarebbero solo la punta dell'iceberg. Anche per questo Prodi, dopo averlo difeso strenuamente, avrebbe valutato positivamente un passo indietro del suo consigliere. L'obiettivo, come ha detto lo stesso Rovati, sarebbe quello di ricondurre l'intera vicenda nell'alveo della politica, lasciando da parte il gossip di questi giorni. Insomma, il Professore ha capito che, l'unico modo per uscire dall'angolo è quello di aprire una discussione sul futuro industriale del gruppo di telefonia coinvolgendo tutti. Per questo, a meno di sorprese, dovrebbe affidare al ministro della Comunicazioni Paolo Gentiloni, o ad un altro ministro «tecnico», il compito di riferire in Aula sull'intera vicenda (probabilmente gioverì mattina, quando il premier si troverà a New York per l'assemblea generale dell'Onu). Ma anche questo terreno si preannuncia particolarmente minato. Il rischio, infatti, è uno scontro, tutto interno alla maggioranza, tra l'ala statalista che vorrebbe una nuova Iri (Prc e Pdci su tutti) e l'ala più liberista. Di tutto questo si comincerà a discutere già stamattina nel corso di una capigruppo dei partiti dell'Unione che si preannuncia particolarmente calda. Il problema, dicono in molti, è la politica industriale del governo. Il caso Telecom, insomma, è tutt'altro che chiuso.