Baldassarri attacca
Chi parla di mercato poi chiede il taglio del cuneo fiscale, i sussidi e i sostegni. Bè la vicenda Telecom dovrebbe indurre a una seria riflessione il mondo imprenditoriale, la politica, il sindacato». Mario Baldassarri, economista di rango, e ex viceministro dell'Economia, non risparmia critiche agli industriali e alla classe politica. E giudica «paradossale» che a riferire sulla questione Telecom e il coinvolgimento di Prodi non sia il presidente del Consiglio ma «ministri che hanno già detto di non saperne nulla». Il presidente della Confindustria Luca di Montezemolo ha accusato i due schieramenti, maggioranza e opposizione, di tentativi dirigistici e di nostalgie per l'intervento dello Stato. Lei cosa ne pensa? «Il confronto tra statalisti e liberisti non è solo un problema di maggioranza e opposizione ma è un problema che attraversa l'intera società italiana perchè in molti casi vale il vecchio proverbio chi lascia la vecchia rendita per la nuova sa quel che lascia ma non sa che profitto si ritrova». Significa che il liberismo non fa parte del Dna dell'economia italiana? «Esistono incrostazioni corporative nella società italiana che esercitano una resistenza enorme. Ciascuno di noi indossa due o tre cappelli diversi. Il cappello del consumatore dovrebbe spingere a liberalizzare e alla concorrenza per avere prezzi più bassi e qualità più alta. Il cappello del contribuente dovrebbe spingere ad avere qualità nei servizi pubblici, meno spesa corrente e meno tasse. Poi però ciascuno ha il cappello della propria corporazione: di professore universitario, di notaio, farmacista, avvocato, sindacalista, dirigente delle coop e perchè no anche imprenditore con i fondi perduti dello Stato e con i sussidi pubblici. Il problema non è guardare con il bilancino dentro maggioranza e opposizione semmai guardare concretamente alle scelte politiche. Ma non quelle che vengono chiacchierate sui giornali ma che sono prese nel governo e nel Parlamento. E allora è indubbio che nel centrodestra palesemente prevalgono le forze liberali e paradossalmente il centrodestra è il vero blocco riformatore del Paese e altrettamto palesemente nel centrosinistra la spaccatura è profonda e clamorosa». In che senso c'è una spaccattura nel centrosinistra? «Basta confrontare gli interventi dei vari esponenti di questa maggioranza per vedere che in ogni argomento appare sempre la tesi e l'antitesi. Il caso Telecom è clamoroso». Perchè clamoroso? «La sinistra estrema vuole la statalizzazione e lo dice chiaramente e in modo sincero. Poi c'è una sparuta minoranza di riformisti che vorrebbe invece la liberalizzazione. In mezzo ci sono le classiche ipocrisie del centrosinistra che ventila la ripubblicizzazione della Telecom attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. Sicchè sciolto l'Iri si va verso un altro Iri come nelle vecchie dinastie monarchiche è morto il re, viva il re». Ma non è anche colpa del mondo imprenditoriale? Dove sono i capitani coraggiosi pronti a prendersi una parte di Tlecom? Chi parla id mercato poi però si rifugia dietro gli aiuti di Stato, o no? «Bisogna capire la storia di questi dieci anni. Torniamo al '96 quando il primo governo Prodi parlò di privatizzazioni. I capitali privati di grandi industrie non ce n'erano come pure non c'era l'unico grande capitale privato rappresentato dal risparmio dei lavoratori attraverso i fondi pensioni. In questa tenaglia i grandi capitali privati non ci sono. Prodi voleva fare la public company e si scontrò con Cuccia che voleva il salotto buono, sicchè fu costretto a fare su Telecom il nocciolino duro che poi si dimostrò moscio. Lì nasce il peccato originale. Quella che per anni è stata celebrata come la grande era delle privatizzazioni ha fatto incassare un po' di soldi allo Stato ma ha prodotto due risultati: imprese pubbliche a partecipazione privata non privatizzate perchè ancora oggi En, Efim Finmeccanica sono a controllo pubblico. Le uniche vere privatizz