«Abbiamo analisi uguali ma risposte diverse»
È soddisfatto Carlo Fidanza, trent'anni, vicesegretario di Azione Giovani e capogruppo al consiglio comunale di Milano per An. Vicino a Gianni Alemanno, ha sfidato e perso con la Meloni divenendone poi il vice: lo chiamano il «piccolo Bertinotti della destra» Lui rivendica con orgoglio: «Abbiamo ospitato un fatto storico, l'ultima prova di maturità del nostro partito». Insomma invitare Bertinotti non era un'idea così bizzarra? «Non credo proprio. Io sono convinto che impostare un confronto con tutti sia fondamentale per la nostra pratica politica. E poi vedere qui Bertinotti alla nostra festa che dialoga con Fini è il segno più evidente che dalle nostre parti è venuto meno il fanatismo. Inoltre è evidente che questo incontro celebra la fine di una stagione di violenza politica». L'hanno stupita i molti applausi che la platea ha riservato al leader di Rifondazione? «No, perché devo ammettere che le analisi di Bertinotti sulla nostra società e sulle sue contraddizioni non sono poi così diverse dalle nostre. Sono le conclusioni ad essere lontane. Però in fondo quando si parla dei mali della globalizzazione sappiamo che è solo un altro modo per parlare di quello che noi, già parecchi anni fa, individuavamo come un grave pericolo, ovvero il mondialismo. Comunque non è solo una questione di lessico diverso. Sono diverse le risposte alle analisi e la sintesi è differente. Noi difendiamo la nostra identità che è una, per loro sono buone tutte». Il Bertinotti che è venuto qui alla vostra festa era quello che vi aspettavate? «Penso che il Bertinotti di oggi rappresenti un nuovo corso della sinistra. In lui c'è un'attenzione al senso profondo della vita che non fa parte della tradizione classica della sinistra comunista. Più delle analisi del rapporto tra mercato e lavoro sembra interessare a Bertinotti una comprensione della profondità dell'uomo. Questa sì che è una novità». E il discorso sul passato, i crimini del comunismo e le sue aberrazioni? «Io penso che Bertinotti abbia intrapreso un percorso difficile, drammatico che riguarda eventi che i dirigenti dei partiti comunisti hanno visto e di cui a volte sono stati protagonisti. Anche per An non è stato facile rileggere il proprio passato, ma per lo più ci si riferiva a cose talmente lontane che è stato in un certo senso più semplice». In cosa è stato meno convincente Bertinotti? «Sicuramente siamo distanti sulla questione dell'identità: mentre noi difendiamo l'idea che l'identità sia una, quella nostra di italiani che amano la loro patria e che hanno le loro convinzioni, il presidente della Camera sostiene l'identità multiforme e fluida, un'idea inaccettabile che non può che indebolire la nostra società». Anche sulla droga le distanza rimane siderale? «Quello è un tema complesso. Io sono contro l'uso delle droghe leggere e pesanti e a favore della legge Fini, però penso che su quella legge non abbia funzionato la comunicazione. La sinistra è stata brava a convincere la gente che si finiva in galera anche fumando una canna. È indubbio che così ci siamo alienati un certo consenso giovanile». E su Cuba? «Anche qui analisi corretta della situazione senza arrivare alle giuste conclusioni. Capisco la nostalgia per la ribellione giovanile ma è arrivato il tempo delle condanne senza esitazioni». Insomma è quasi amore tra voi e Rifondazione? «Non direi proprio. Riconoscere la reciproca dignità politica non vuol dire essere d'accordo sulla pratica».