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Una muraglia cinese prova a difendere Rovati

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Rovati, che a Palazzo Chigi viene definito «il cassiere del premier», non ha nessuna intenzione di dimettersi. Il neo sposo di Chiara Boni ieri mattina ha detto: «E perché dovrei dimettermi? E poi da cosa, da me stesso? Comunque vedremo a Roma, la prossima settimana». E a chi gli faceva notare che la sua poltrona potrebbe essere richiesta anche da parte di alcuni alleati di governo - per evitare di coinvolgere Prodi nella vicenda - rispondeva amareggiato: «E se mi dimetto non lo attaccano?». Nemmeno il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Ricardo Franco Levi ha lasciato trapelare qualcosa: «Non ne so nulla», ha tagliato corto. L'atmosfera in Cina è pesante, il fortino dei prodiani si sente assediato, e gli uomini del Professore fanno quadrato. Qualcuno, durante il tourbillon di appuntamenti cinesi del presidente del Consiglio ha notato che Prodi appare un po' più stanco e teso non solo per il jet-lag. Fonti di Palazzo Chigi spiegano che questa tensione deriva in parte dal fatto di avere a fianco un amico che non sta certo al massimo della forma, e con la convinzione che a Roma (anche nelle file della maggioranza governativa, a cominciare dalla Margherita) si stia montando ad arte il caso. La tensione - insieme alla speranza di non tornare più sull'argomento - è emersa anche nel corso della conferenza stampa di Prodi: «Lasciamo stare le chiacchiere, ne abbiamo fatte anche troppe, lasciamo parlare i fatti e basta». Se gli si chiede se per fatti intenda il piano di Rovati o quello Telecom, Prodi sbuffa e si agita: «Smettetela, sapete benissimo come sono i fatti, è proprio questo il discorso sulle chiacchiere». E poi sbotta con decisione in replica alle richieste della Cdl di rispondere personalmente in Parlamento: «Ma stiamo diventando matti?». La conferenza stampa, a cui assiste anche la moglie Flavia, insieme ai collaboratori, mentre Rovati attende nella hall dell'hotel di Shanghai per andare a cena, era ormai finita. La delegazione di governo è apparsa soprattutto dispiaciuta per il fatto che «questo caso Rovati sta oscurando la missione in Cina, che invece è importantissima». E Antonio Di Pietro è tornato sul tema: «E' una tempesta in un bicchier d'acqua, è stata una furbata spostare l'attenzione da Telecom-Tim a Rovati». Il governo, intanto, si prepara a compiere gli ultimi giorni del viaggio in Cina: e un uomo come Rovati non gode del dono dell'invisibilità. In questo momento, prima di capire quali saranno gli sviluppi, si leggeva ieri su Europa, «il centrosinistra, a poco più di un anno dall'affare Unipol, deve dar prova di praticare nei fatti e non solo a parole il principio dell'autonomia reciproca fra politica e economia. Erga omnes, possibilmente». In Italia, comunque, qualcuno si è già dimesso: per le prossime mosse, toccherà aspettare il ritorno a Roma dell'aereo con lo staff del presidente del Consiglio.

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