di ALBERTO MINGARDI DOVEVA essere un «Piano Marshall» per Telecom, quello presentato ai sommi capi della ...
Nato come scialuppa di salvataggio, il progetto firmato da uno dei più fidati collaboratori di Prodi viene ora usato dal patron di Pirelli come strumento di ricatto. Tronchetti infatti non ha gradito la dichiarazione rilasciata da Romano Prodi dopo il Cda nel quale Telecom Italia ha optato per una vistosa correzione di rotta: da una parte lo scorporo dell'«ultimo miglio» della rete fissa (ancorché in modi e tempi ancora da verificare) e dall'altra, soprattutto, la cessione di Tim, l'altr'anno incorporata in Telecom. L'attenzione di Prodi si è puntata sui telefonini, facendo da prologo ad una rutilante arlecchinata di dichiarazioni (ministri e parlamentari hanno fatto a gara a chi la spara più grossa) tutte tese a deprecare il pericolo di un eventuale passaggio del primo operatore mobile nazionale in mani straniere. È evidente che la situazione in cui Telecom si trova non è difficile, ma drammatica. La gestione di Tronchetti Provera è stata caratterizzata dall'incapacità di far fronte al peso dei debiti, sotto il quale ora la sua stella viene schiacciata. Certo è che fra nazionalisti del cellulare e nostalgici della golden share, il governo Prodi sembra vittima di una schizofrenia veramente singolare. Dopo aver debuttato con un provvedimento, il decreto Bersani, ora Prodi mostra i muscoli. Mentre era stato Massimo D'Alema, all'epoca dei «capitani coraggiosi», a scegliere di non esercitare la golden share contro l'Opa di Colaninno, ora è lo stesso centro-sinistra a fare la voce grossa. Si è persino scritto che si tratterebbe di un disperato arrocco, per sbarrare la strada agli «spagnoli che vogliono l'Italia» - in questo caso, Telefonica. Dopo aver congelato l'operazione Abertis-Autostrade, dopo il matrimonio fra San Paolo ed Intesa molto apprezzato da quanti temevano un'ipotetica opa degli spagnoli del Santander sulla banca di Torino, anche per Telecom il grande pericolo sarebbe l'arrivo dei conquistadores. Più che altro, si avverte una certa differenza, fra il calore con cui Romano Prodi ha benedetto Sant'Intesa (ben prima che si riunissero i cda), e la freddezza che ha colpito Tronchetti e i Benetton. Al di là delle valutazioni di merito, in un caso si è trattato evidentemente di un'operazione di cui la politica era stata debitamente tenuta a parte, negli altri due di «sorprese» - ancorché Telecom si stia facendo in quattro per dimostrare come il canale di discussione con Palazzo Chigi fosse invece ben aperto. Non che il governo non abbia diritto ad essere informato sul futuro di un ex monopolista pubblico. Lo scorporo dell'ultimo miglio è una soluzione che, se attuata con giudizio, può far bene alla concorrenza, smontando finalmente il monopolio dell'incumbent che fino a ieri ha paralizzato la crescita di più forti alternative private. Però non ci pare che i nostri governanti accendano ceri alla competizione ed alla libertà d'impresa. Più che altro si pongono il problema di non vedere diminuire la propria influenza sul mondo della telefonia. Sembra che sognino un salto indietro nel tempo. A prima della privatizzazione.