Il commento
Aveva chiesto di essere informato sugli sviluppi del gruppo Telecom ma non è andata così. Come si dice in questi casi, ha appreso le notizie dalla stampa. E che notizie, nientemeno il primo passo verso la molto probabile cessione in mani straniere del campione nazionale della telefonia mobile, oltre al riassetto della principale società di telecomunicazioni (con implicazioni che hanno già messo in allarme i sindacati, allarme prontamente raccolto da parti rilevanti della maggioranza). Tutto è stato impostato e poi presentato al mercato senza che Marco Tronchetti Provera sentisse la necessità di dire due parole al governo. Benissimo, figuriamoci. L'autonomia delle aziende quotate è sacra e la gestione deve rispondere solo agli azionisti. Però Telecom è anche un grande gruppo nazionale che con il governo, anzi con i governi, è abituato a dialogare. E per mantenere quel dialogo aperto non è necessario venir meno alla propria indipendenza. Ma forse Tronchetti non ha avuto neppure i margini per avviare un confronto preventivo con il governo e anche con i sindacati. Il suo piano dà molto l'impressione di una manovra da realizzarsi in fretta, sotto la minaccia dell'esposizione finanziaria del gruppo e forse sotto la pressione di chi vorrebbe sfilargli alcuni dei suoi gioielli (magari organizzando anche pesanti campagne di stampa contro di lui). Insomma, Tronchetti avrà certamente commesso uno sgarbo, ma un po' lo hanno messo in condizione di farlo. Non sarebbe male a questo punto che si tentasse un reciproco chiarimento. Un Tronchetti meno messo all'angolo può anche provare a ragionare su una diversa destinazione per la Tim. L'annuncio della sostanziale messa in vendita dell'azienda dei telefonini suona anche un po' come una minaccia al governo. E forse la chiave della trattativa sta nella scelta di una posizione terza per Palazzo Chigi, al riparo da qualunque tentazione di rimettere in piedi la "banca d'affari" su cui si sono accentrate tante critiche e dalla tentazione di agire per favorire un gruppo imprenditoriale, per la precisione quello di Carlo De Benedetti, contro altri. E Tronchetti può proseguire a rispondere alle pressioni esterne con altre mosse politicamente pesanti. Tra le sue proprietà cedibili c'è anche La7 e si sa quanto lo spostamento di proprietà di un canale televisivo possa essere destabilizzante per la politica italiana. Mentre il suo stesso obiettivo futuro di trasformare la Telecom (cioè una rete che arriva in tutte le case degli italiani) in una grande società di media, quindi con dentro di tutto, dai film ai telegiornali, ne fa ormai un protagonista a pieno titolo, anche se apparentemente recalcitrante, del confronto politico. Quello che non sembra augurabile, soprattutto negli interessi dei tanti azionisti Telecom (e Pirelli e Tim), è che ora si scateni una battaglia di logoramento, ad esempio lasciando in sospeso, in modo minaccioso, le decisioni dell'autorità pubblica sulle telecomunicazioni. O peggio, usando come moneta di scambio il possibile intervento dello stato, attraverso la cassa depositi e prestiti, nella proprietà della rete fissa dei telefoni (un progetto che sarebbe gradito a Telecom, ma che non è detto sia conveniente e saggio per lo Stato).