di MARCO CASTORO SI ERANO presentati tutti con l'ombrello ma tanto tuonò che non piovve.
Per il momento restano in sella al cavallo di viale Mazzini anche Del Noce, Comanducci, Marano e tutti gli altri responsabili che erano in odor di sostituzione. A bordo campo dovranno aspettare ancora un po' prima di entrare in gioco i campioni della sinistra, da Riotta a Braccialarghe, da Borrelli a Badaloni, da Ruffini a Minoli. A determinare il risultato senza né vinti né vincitori è stato il semaforo verde scattato per la commissione di Vigilanza. I presidenti di Camera e Senato l'hanno convocata d'intesa per venerdì, giorno in cui si dovrebbe procedere all'elezione del presidente, di due vicepresidenti e dei segretari. L'elezione del presidente si svolgerà a scrutinio segreto e a maggioranza dei 3 quinti dei componenti (i 40 «vigilantes» scelti dai partiti). Salvo sorprese dovrebbero essere eletti l'ex ministro Mario Landolfi come presidente, Giorgio Merlo (Margherita) e Paolo Bonaiuti (Forza Italia) come vice. Scattata la convocazione da parte di Bertinotti e Marini il dg Cappon e il cda non hanno affrontato la questione delle nomine, rimandando a stamattina la contesa. Alla luce anche del preambolo di Bertinotti che aveva lanciato un segnale importante: la discussione sulle nomine deve avvenire alla presenza della commissione di Vigilanza. Quindi un rinvio annunciato per il cda. Anche il centrodestra compatto e l'attivissimo radicale Capezzone si erano espressi sulla stessa lunghezza d'onda. Fuori dal coro è sembrato il solo ministro delle Comunicazioni Gentiloni che si è mosso già col ministro competente, Padoa Schioppa, per cercare di allertarlo a scardinare la roccaforte di un cda che fa della difesa a bunker una priorità (ricordiamo che la maggioranza appartiene sempre al centrodestra). Gentiloni ha posto l'accento sull'anomalia Petroni (il consigliere che rappresenta l'azionista del Tesoro, nominato però dal vecchio esecutivo). «Petroni non è più espressione di parte dell'azionista (il Tesoro appunto)» ha detto Gentiloni. Per contro Petroni, che si sente un po' nell'occhio del ciclone, ha risposto così: «Sono pronto ad astenermi, anche se penso che davanti a una situazione ingestibile Padoa Schioppa non possa che intervenire». Intanto proseguono i colpi bassi. Il direttore del Tg1, Mimun, ha dovuto difendersi con una nota. «Non solo non ho fatto alcuna nomina - ha spiegato Mimun - ma è falso anche che io abbia fatto delle assunzioni alla redazione politica, o altrove, in questi mesi». È una questione di stile dice Mimun. Lo stesso stile che in questi giorni sembra aver smarrito Sandro Curzi che anche ieri non ha perso occasione per scagliarsi contro la direzione di Maffei a RaiSport. Ha parlato di devastante condizione in cui è ridotta l'informazione sportiva della Rai. La professionalità e la competenza di tanti giornalisti chiamati in causa la dicono lunga sull'errore di valutazione di Curzi, accecato sempre più dai suoi compagni dell'Usigrai.