di FILIPPO CALERI DA BUON velista, il patron di Telecom Italia, Marco Tronchetti Provera non ha esitato ...
Sì, l'idea di portare la telefonia mobile, la Tim, dentro la pancia dell'ex monopolista per tamponare il peso di un debito da 40 miliardi di euro, non ha funzionato. E ieri dopo giorni di rumors, scommesse della Borsa, e ipotesi disparate sul destino della telefonia italiana il consiglio di amministrazione di Telecom ha partorito la soluzione ideale per il rilancio del gruppo: Tim torna fuori, in una nuova società che accoglierà uno degli asset più pregiati del mercato. Tutto quello che resta e cioè la rete fissa e gli altri media andranno in una seconda compagnia. Un piano di riorganizzazione, insomma, che in maniera discreta mette sul mercato la Tim pronta per il miglior offerente e lascia nelle mani di Tronchetti Provera l'idea di creare una nuova «media company», un soggetto che punti tutte le sue carte sulla banda larga per portare agli abbonati i contenuti editoriali in parte forniti dal magnate dei media e proprietario di Sky, Rupert Murdoch. Questo è il disegno che sarà realizzato nei prossimi sei mesi. Tanto è il tempo che lo stesso numero uno di Telecom si è preso. Ma gli azionisti non dovranno preoccuparsi perché la separazione della telefonia fissa da quella mobile non comporterà alcuna «dissinergia». La separazione di ciò che si voleva unire, insomma, non avrà alcun impatto «tangibile» ha spiegato il patron di Telecom. Peccato che gli azionisti, quelli più piccoli, queste parole le hanno già ascoltate qualche anno fa quando in nome della convergenza, e cioè l'unione di tutti i media in una sola società, aderirono al concambio tra la florida Tim e il grosso pachiderma Telecom Italia. Con lo scambio i titoli arrivarono sopra la soglia dei tre euro. Poi cominciò una lenta erosione fino ai giorni scorsi quando prima dell'inizio delle manovre approdate ieri nel piano di riassetto approvato dal cda l'azione era stata mortificata fino alla soglia dei due euro. Ma tant'è, ora per i risparmiatori si apre una nuova fase.Anche se per ora la cessione di Tim non è, infatti, all'ordine del giorno è facile immaginare che non tarderà l'arrivo delle offerte da parte di grandi gruppi stranieri. Qualcuno già gongola. Si parla infatti di un interessamento degli spagnoli di Telefonica, ma anche di grandi gruppi di finanza internazionale come il fondo americano Carlyle, entrambi disposti a mettere sul piatto 35 miliardi di euro per accaparrarsi la Telecom Italia Mobile. Una cifra che consentirebbe a Tronchetti Provera di tagliare drasticamente il peso dei debiti che è arrivato a quota 41,3 miliardi. Nonostante la smentita: «Niente cambierà: manteniamo il 100% degli asset nelle nostre mani, non c'è spostamento di debito da una parte all'altra e tutto il debito sarà nel bilancio telecom», il mercato scommette e attende che presto anche i telefonini targati Tim batteranno bandiera straniera. La Borsa nonostante la sospensione dalle contrattazioni di Telecom (i titoli saranno riammessi oggi) ci crede. Piazza Affari ha puntato, ieri, tutto su Pirelli (+4,5% con il 6,7% del capitale passato di mano). Bene anche Telecom Italia Media (+2,40%) e Rcs (+2,5%) sui rumors di un coinvolgimento nel riassetto. Si scommette, hanno spiegato gli operatori, «sulla destinazione del cash in proveniente da un'eventuale cessione della parte mobile, che andrebbe a ripianare il debito», e «sulla distribuzione di un dividendo straordinario. Questa, insomma, è la partita aperta attorno a un gruppo che uscito dallo Stato non ha più smesso di essere al centro dell'attenzione. A spingere nella direzione presa ieri sono stati anche i non brillanti risultati economici. I conti che il cda ha approvato non hanno dato segnali rassicuranti. Il primo semestre si è chiuso con un utile netto a 1.496 milioni di euro (-15,7%). Con il nuovo piano si pensa al rilancio. Anche se i rumors continuano a infittirsi sul destino definitivo di Telecom Italia. Qualcuno parla di un possibile disimpegno anche dalla gestione della rete fissa. L'idea accarezzata è quella di riportarla nell'alveo statale, e a farsi