di LAURA DELLA PASQUA PENSIONI sì, pensioni no.
I ministri si presenteranno con la loro lista della spesa, ma l'intenzione del ministro dell'Economia Padoa Schioppa è quella di mettere a punto lo scheletro della manovra più che entrare nei dettagli. E questo vale soprattutto per la questione spinosa delle pensioni. L'orientamento del governo è di indicare nella Finanziaria il percorso che si vuole fare sulle pensioni ma di affidare ad un decreto ad hoc le misure. Tant'è che ieri il ministro dello Sviluppo Economico Pierluigi Bersani ha detto che se la manovra «non è il luogo della riforma delle pensioni» è comunque necessario «mettere qualche paletto». L'intervento sulle pensioni verrebbe spalmato in due momenti successivi. Il decreto legge parallelo alla Finanziaria dovrebbe contenere queste misure: il prelievo sulle pensioni d'oro allargato a una platea più vasta e riguardante anche i parlamentari. La misura già in vigore e in scadenza a fine 2006, verrebbe prorogata. La platea riguarda oggi 700 pensionati e la soglia è di poco superiore ai 13mila euro mensili. L'ipotesi è di abbassare la soglia di reddito, probabilmente a 10 mila euro. Il prelievo diventerebbe deducibile. Sempre per decreto verrebbero chiuse due delle quattro finestre di uscita delle pensioni di anzianità previste nel 2007; ci sarebbe l'aumento del 3-4% delle aliquote per i parasubordinati. Il resto della partita previdenziale - dall'innalzamento dell'età pensionabile alla rimodulazione dello scalone di Maroni - si giocherebbe in un altro provvedimento di legge (un ddl delega o di un ddl collegato alla finanziaria). Nella manovra invece dovrebbero trovare posto misure di tutela dei lavoratori precari in caso di infortunio, malattia e maternità. Poi il rilancio della previdenza integrativa risolvendo il problema del fondo di garanzia per le imprese che cedono il Tfr ai fondi pensione e sbloccando i fondi dei dipendenti pubblici. Nella manovra anche un fondo per l'emersione del lavoro nero e una norma per estendere a tutti i settori produttivi del Paese il documento di regolarità contributiva ora riservato all'edilizia. Ma prima di mettere nero su bianco tutto, il governo vuole avere le spalle coperte dal sindacato. Ieri il ministro del Lavoro Cesare Damiano ha chiesto a Cgil, Cisl e Uil di presentare una proposta unitaria. Sullo scalone Damiano dice che non si può abolire tout court. È una questione di soldi. «Con il salto di 3 anni (dal primo gennaio 2008 le persone dovranno andare in pensione avendo come minimo 60 anni di età pur avendo 35 anni di contributi) Maroni ha risparmiato soldi, ha fatto quadrare i conti ma a spese dei pensionati. Togliere quello scalone vuol dire restituire tanti soldi» dice Damiano. Risultato l'abolizione non può essere a costo zero. Chi vorrà andare in pensione prima dei 60 anni lo potrà fare «ma con una logica di incentivi e di disincentivi leggeri». Ma mentre Damiano cerca di tirarsi dietro i sindacati, il fronte di Cgil e Cisl si spacca ed è polemica tra Epifani e Bonanni. «Basta parlare di pensioni tramite le interviste» amonisce il leader della Cgil e subito gli risponde a tono il segretario della Cisl: «Dovrebbe essere Epifani a parlare di più - rintuzza infatti Bonanni - anche lui faccia più interviste. Il problema non è mettere la sordina nelle opinioni del sindacato, ma amplificarle». E, liquidando l'annunciato contributo sociale dalle pensioni d'oro come «una misura ad effetto», sull'età pensionabile avverte: «per noi la flessibilità è d'obbligo, però alla condizione che i diritti acquisiti si mantengano e che la libertà di andare in pensione con incentivi sia un punto fermo».