Riforma, la Cisl apre al dialogo
Ieri la Cisl con il segretario generale aggiunto Pierpaolo Baretta si è detta disponibile a portare a 58 anni l'età necessaria per andare in pensione di anzianità nel 2008, chiedendo però che questo avvenga senza disincentivi e senza penalizzazioni. L'ipotesi, inferiore ai 60 anni previsti dalla riforma Maroni ma comunque superiore ai 57 anni attuali non convince Cgil e Uil che ribadiscono la loro richiesta di eliminare lo scalone (il passaggio secco da 57 a 60 anni nel 2008 a fronte di 35 anni di contributi) tout court e, comunque, di aprire al più presto un confronto a tutto campo con il Governo. Baretta ipotizza anche che si fissi una «quota 95» tra l'età e i contributi per l'uscita dal lavoro. Ma chiede che non si penalizzino le prestazioni fissando disincentivi per chi si ritira prima dei 60 anni (come ipotizzato dal ministero dal lavoro) rivedendo al ribasso i coefficienti di trasformazione del montante contributivo (come previsto dalla riforma Dini a fronte dell'aumento delle aspettative di vita). La riforma comunque - sottolinea - va fatta al di fuori dalla Finanziaria. Per consentire gli interventi necessari nel sistema previdenziale come la rinuncia alla revisione dei coefficienti e la rivalutazione delle pensioni - spiega Baretta - «occorre aumentare l'età lavorativa. Proprio i dati dell'accresciuta attesa di vita giustificano questa scelta. La volontarietà del lavoratore di scegliere il momento dell'uscita dal lavoro consentirà di rendere questo provvedimento socialmente gestibile. Si può raggiungere questo obiettivo adottando il sistema delle quote o con una maggiore gradualità degli effetti della riforma, sostituendo lo scalone con degli "scalini". Per esempio - prosegue - si potrebbe consentire al lavoratore, dal 2008, di scegliere tra "quota 95" o attendere il compimento dei 58 anni di età. La distanza dello scalino successivo va valutata con i dati dello sviluppo demografico». «Aumento dell'età pensionabile solo su base volontaria e con incentivi», ha replicato a stretto giro di posta il segretario generale della Uil Luigi Angeletti, aggiungendo che «bisogna armonizzare i trattamenti previdenziali e questo sarebbe un cambiamento apprezzabile anche dal punto di vista quantitativo: D'Alema può andare in pensione a 70 anni, un operaio no». Angeletti ribadisce anche il suo no ai disincentivi: «Sono del tutto pleonastici - dice - perché la perdita in termini monetari per un lavoratore che va in pensione prima dei 40 anni di contributi è così notevole che solo la paura, più o meno irrazionale, può spingere a una scelta di questo genere». Anche la Cgil frena sulla proposta della Cisl, sottolineando di non averla mai discussa unitariamente: il sindacato - dice il segretario confederale della Cgil Morena Piccinini - «ha sempre contrastato lo scalone e chiesto l'eliminazione o l'attenuazione dello stesso».