Parte il processo per le nomine Vicina l'intesa per l'addio di Mimun
Non sarà la prima cannonata. E nemmeno la prima bomba lanciata sulle città. Quello di oggi sarà l'inizio di un processo, l'arrivo-ritorno della sinistra ai posti di comando della Rai. Nel consiglio di amministrazione di viale Mazzini di oggi, il direttore generale Claudio Cappon parlerà di nomine. Si soffermerà sui criteri per procedere al ribaltone e alla scelta dei nuovi direttori nei punti nevralgici dell'azienda. Punto. Dopo ascolterà. Il dibattito avrà esito imprevedibile. Ma alcuni punti fermi sembrano abbastanza chiari. Anzitutto i consiglieri di amministrazione di maggioranza (Petroni, Malgieri, Staderini, Urbani e Bianchi Clerici, tutti di centrodestra) sembrano convinti a non procedere a voti. Ieri sera si sono incontrati all'ora di cena per scambiarsi opinioni e per presentarsi con un'unità di intenti alla riunione di oggi. E il minimo comune denominatore al momento è proprio quello di non votare e rinviare a un incontro successivo le nomine da effettuare. Ciò che conta, tuttavia, è che sarà stato avviato un processo. Se anche non ci sarà oggi nessun nuovo direttore, sarà stato formalizzato nel Cda l'inizio di un percoso con la necessità di procedere a nuove nomine in tutti i posti principali. Le poltrone maggiormente in bilico sono sempre due: quella del Tg1 e quella della direzione delle risorse umane. Per la prima, l'aienda ha avviato una sorta di trattativa con Clemente Mimun al quale è stata offerta la direzione di RaiSport con una delega particolare anche ai diritti sportivi che erano stati scorporati. Il numero uno del principale telegiornale si è mostrato disponibile ad accettare e dunque ha dato un quasi via libera almeno di sostanza. Resta la forma. Mimun chiede un'uscita onorevole con un attestato da parte dell'azienda. Insomma, non vuole che sia una semplice rimozione. Cappon potrebbe avanzare una rosa di opzioni. Al suo posto resiste il pole position Gianni Riotta, condirettore del Corriere della Sera, che piace un po' a tutti sebbene non facciano salti di gioia per il suo nome né i Ds né Forza Italia. Più complicato il caso di Gianfranco Comanducci, che guida il vecchio settore del Personale. L'Unione vorrebbe rimpiazzarlo con l'attuale ad di Sipra, Maurizio Braccialarghe (che potrebbe essere a sua volta sostituito da Guido Paglia). Ma una soluzione per Comanducci non c'è, visto che l'attuale capo delle Risorse Umane gode di simpatie anche nel centrosinistra (con il precedente governo dell'Ulivo era vicedirettore della divisione Uno anche quando la poltrona di direttore era vacante). Si tratta. E questo è già un segno. Anche se con molte differenziazioni. Nell'Unione restano le diffidenze dei cespugli che ieri con Capezzone e il suo «foglietto» hanno tirato una bomba tra le fila amiche rischiando di far saltare tutto. E restano anche le diffidenze tra Prodi da un lato e Ds e Margherita dall'altro. Il premier teme che i due principali partiti della coalizione possano anche stavolta avviare una trattativa riservata con la Cdl così come era stato fatto anche in occasione della nomina di Cappon. Non ha tutti i torti il Professore, visto che Riotta e Braccialarghe in fin dei conti sono candidati di sua fiducia e dunque da questa partita ha tutto da perdere. Sul fronte opposto anche Forza Italia è alle prese con l'ala che cerca la trattativa con la maggioranza e quella invece che preferirebbe resistere, resistere, resistere. L'uscita di D'Alema dell'altra sera («Siamo stati fin troppo buoni») ha sollevato un vespaio di polemiche. Ma ha sortito due effetti. Sul fronte esterno forse ha frenato la furia lottizzatrice, vero incubo della sinistra. Ma ha ricompattato tutta la maggioranza. Riotta e Braccialarghe non hanno gradito. Qualcun altro sì.