di MARZIO LAGHI IL timore che con la Finanziaria possa spappolarsi la maggioranza è forte.
Romano Prodi si mostra tranquillo, anche se l'avvio del confronto interno all'Unione sulla manovra di bilancio fa registrare una fase di stallo, con la sinistra radicale che non molla e annuncia barricate contro i tagli alla spesa sociale e la riforma delle pensioni. La previdenza resta il nodo principe di questa partita. Il premier, consapevole delle difficoltà, si dice però convinto che i partiti più riottosi non arriveranno al punto di far cadere il governo. Ieri è stata una giornata campale per l'esecutivo. In mattinata Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa hanno incontrato i capigruppo parlamentari del centrosinistra. Obiettivo: avviare il confronto e tentare di arrivare alle Camere senza troppe tensioni. Ma, almeno per ora, la situazione è insieme di frizione e di stallo. Il premier e il ministro dell'Economia mettono subito le carte in tavola: le cifre restano quelle e dunque la manovra sarà di 30 miliardi. Da qui la necessità di emendamenti leggeri che non stravolgano il testo e possibilmente concordati con il governo. Rifondazione comunista e Comunisti italiani però non ci stanno e attaccano: niente macelleria nei capitoli di sanità, pubblico impiego ed enti locali. Soprattutto stop alla riforma delle pensioni. Una priorità, quest'ultima, ribadita anche dai Verdi. In particolare, durante la riunione di Palazzo Chigi, Prc e Pdci hanno provato ad avanzare qualche ipotesi alternativa, come la separazione della previdenza dall'assistenza o un intervento sulle pensioni di anzianità, scaricando sugli autonomi i maggiori costi. Prodi ascolta, facendo capire di non essere affatto convinto da queste proposte, e la risposta, pubblica, arriva in serata alla festa della Margherita di Caorle (Venezia): «Avvieremo un cammino virtuoso senza ammazzare il Paese, senza dare pesi che l'Italia non riesce a reggere. Metteremo a posto i conti senza fare macelleria sociale». Detto questo, il Professore ribadisce tuttavia l'assoluta priorità dell'esecutivo: rispettare gli impegni con l'Unione europea. È un no quindi all'ipotesi di spalmare su due anni gli interventi come chiesto dalla sinistra radicale. Il premier, riflettendo ad alta voce uscendo dal vertice, si dice comunque convinto che il governo non cadrà e concede qualche spiraglio alla controparte soltanto sulle pensioni: su questo tema, avrebbe osservato, l'esecutivo potrebbe trovarsi in un vicolo cieco e allora si potrebbe lasciarle fuori dalla Finanziaria per non rischiare di non reggere politicamente. Insomma, nella maggioranza le posizioni in campo restano invariate. È partito il confronto e così come chiesto soprattutto dall'Ulivo il governo si raccorderà con i gruppi parlamentari. Sono infatti previsti nuovi incontri e la possibilità della costituzione di una cabina di regia guidata dal sottosegretario all'Economia Nicola Sartor. La strada non sarà facile, come fa notare un dirigente di primo piano dei Ds, che osserva: «Non possiamo prescindere dalle misure per lo sviluppo, da una Finanziaria di riforme e di rigore. Ed è ora di farla finita con i partiti più piccoli che, in cerca di visibilità, puntano a smarcarsi di continuo». In effetti, ai capigruppo ulivisti e anche a Prodi non è piaciuta la mossa di Giovanni Russo Spena che a riunione ancora in corso ha affidato alle agenzie di stampa l'insoddisfazione del Prc per l'andamento del confronto. E ad agevolare la tenuta della maggioranza anche la ripresa del dialogo tra governo e sindacati, con i leader confederali Epifani, Bonanni e Angeletti a pranzo a Palazzo Chigi.