La relazione di Catricalà
L'autorità antitrust dà una mano alla maggioranza e critica la legge Frattini
né schierarsi con questa o quella proposta di legge. L'ultima relazione dell'Antitrust (giugno 2006) contiene però anche alcune considerazioni che si configurano come veri e propri appunti alla normativa vigente. E che forse possono aiutare a capire l'autorevole punto di vista di chi si cimenta concretamente giorno per giorno, e senza pregiudizi politici, col problema del conflitto di interessi. La prima cosa che censura l'Authority è il decreto legge del 31 marzo 2005 che ha escluso dalle cariche incompatibili con l'incarico di governo quella di consigliere comunale o provinciale. Che differenza c'è, si domanda nella relazione, fra quei consiglieri regionali a cui addirittura la Costituzione (art.122) vieta di stare nell'esecutivo e i loro colleghi negli enti locali? Ma le critiche più robuste sono quelle rivolte da un lato alla procedura attraverso cui ogni componente del governo deve dichiarare le sue incompatibilità, e dall'altro al principio secondo cui un atto governativo in conflitto di interessi deve configurarsi anche come «danno all'interesse pubblico». Sulla prima questione l'Authority è netta. Non si può delegare al controllato il compito di indicare quali secondo lui sarebbero gli incarichi suscettibili di incompatibilità. Anche perchè non è efficace una norma che consente all'Authority di agire solo a posteriori e sulla base di queste dichiarazioni. Senza contare, si osserva inoltre, che ora come ora l'obbligo di dichiarare il patrimonio è esteso anche ai coniugi del titolare di carica governativa e ai parenti entro il secondo grado, ma non prevede sanzioni qualora questi ultimi «dimenticassero» di farlo. Ma l'aspetto forse più cruciale della normativa attuale su cui l'Antitrust sembra chiedere correzione al testo di legge riguarda la definizione di quali provvedimenti di un membro del governo possano o non possano considerarsi in conflitto di interessi. Viene sottolineato che oggi la legge impone di riscontrare non solo se una decisione dell'esecutivo ha un «chiaro e indiscutibile impatto positivo e preferenziale sul patrimonio di un membro del governo», ma anche se tale atto comporta un danno per l'interesse pubblico. Mentre per l'Antitrust dovrebbe bastare il fatto che una certa decisione governativa favorisce in modo del tutto particolare chi la prende, e non che essa sia anche onerosa per lo Stato. Anche perché l'atto pubblico a proprio vantaggio e ai danni della collettività e già perseguito dal reato di peculato. In più si evidenzia il fatto che ora come ora la legge obbliga ad accertare «un collegamento funzionale tra l'atto o l'omissione del titolare di carica governativa e il vantaggio al suo patrimonio». In parole povere: se è un collega a deliberare qualcosa che giova al patrimonio di un membro di governo non si può intervenire. Sulle sanzioni nei confronti delle imprese che, legate al titolare di carica di governo, si avvantaggiano economicamente di un suo atto, si contesta il fatto che tali aziende possano evitare la sanzione pecuniaria solo ponendo termine alla violazione. Ma suscita perplessità anche la norma che consente di comminare multe solo per l'ammontare del vantaggio economico conseguito e solo dopo aver provato che l'impresa in questione era consapevole di sfruttare una decisione presa in conflitto di interessi.