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di GIANNI DI CAPUA «È UNA partita difficile da giocare, è più complicata della crisi libanese».

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Insomma, Beirut più tranquilla di Viale Mazzini. La crisi libanese più facile da districare rispetto allo stallo sulle nomine Rai. Il consigliere Angelo Maria Petroni, poi, un vero e proprio baluardo del Cavaliere pronto a sabotare ogni progetto di riforma di viale Mazzini. Inutile dunque fare progetti sulla Rai di domani, rimarrebbero tali. Questo l'«ottimismo» del presidente del Consiglio. Un «ottimismo» già ostentato dal premier in materia di Rai: già all'indomani della nomina alla direzione generale di Claudio Cappon, il Professore (che su quella poltrona avrebbe voluto Antonello Perricone) incassò mestamente la sconfitta e sospirò: «Ora scordiamoci di rinnovare la Rai, rimarrà un incubo». A correre in soccorso del pessimismo di Prodi ci hanno provato in piena estate sia il ministro dell'Economia Padoa-Schioppa, sia il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Enrico Letta. Ed entrambi hanno tentato di riconsegnare all'Unione la maggioranza nel cda Rai. Padoa-Schioppa ha chiesto cordialmente a Petroni di farsi da parte in un incontro riservato in via XX settembre. E incassato il «no» di Petroni, gli ha intimato di tener conto almeno delle indicazioni che gli arriveranno dal Tesoro visto che ne è «fiduciario». Un avvertimento, dunque, salvo revoca del mandato. Enrico Letta, invece, ha convocato a Palazzo Chigi lo zio Gianni, e i due hanno invano cercato una soluzione al rebus Petroni. Ma mentre nel Palazzo è tempo di forum e meeting per trovare un modo per far fuori il consigliere «azzurro», Petroni che fa? La sua è una resistenza passiva o si prepara con adeguate contromosse? Mentre secondo Paolo Bonaiuti «l'Unione si prepara ad occupare la Rai», il «giapponese» Petroni resta saldamente al suo posto e darà battaglia. Sta stilando un dossier nel quale compaiono interviste e dichiarazioni pubbliche di esponenti dell'Unione che dimostrerebbero al Tar (Tribunale amministrativo al quale il consigliere si rivolgerebbe in caso di revoca del mandato) come la scelta del Tesoro di sostituirlo sia di carattere politico e in violazione dell'articolo 20 comma 4 della legge Gasparri: possono essere nominati nel cda Rai «persone di riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti»; «il mandato dei membri del consiglio di amministrazione dura tre anni». Un dossier sulla cospirazione anti-Petroni nel quale compaiono tra gli altri il ministro delle Comunicazioni Gentiloni e il consigliere d'amministrazione della Rai Sandro Curzi, che proprio ieri ha chiesto al Tesoro di «chiarire il rapporto di fiducia con il proprio attuale rappresentante in consiglio». Ma non finisce qui. Petroni appena rientrato dalle vacanze ha fissato un appuntamento con i legali della Rai per fare il punto - in vista dell'infuocato cda del 6 settembre in cui la Cdl è attesa alla prova del voto sulle nomine - su quello che la legge gli consente o meno di fare per schivare i colpi dell'Unione. Intanto sulle affermazioni del premier esplodono, puntuali, le polemiche. «Le parole di Prodi sulla Rai sono gravi e inopportune. Il centrosinistra, che aveva ferocemente criticato le affermazioni di Berlusconi dalla Bulgaria su Santoro e Biagi, oggi manifesta senza pudore la volontà di occupare il servizio pubblico», dice il responsabile dell'Udc per la comunicazione, Francesco Pionati. «Se il buongiorno si vede dal mattino - aggiunge il senatore - prepariamoci all'assalto dell'Unione a viale Mazzini. In questo quadro l'Udc difenderà senza riserve l'autonomia e la qualità sinora dimostrate sul campo dalla Rai». «Prodi dice che la Rai è peggio del Libano? La mia sensazione è che stia diventando peggio della Tele Kabul di infausta memoria», ragiona il responsabile informazione di An Alessio Butti, che critica l'annunciata diretta di RaiNews24 dalla Festa dell'Unità con l'intervista a Prodi. «Non oso pensare - aggiung

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