GERUSALEMME — Israele si felicita della decisione europea di inviare 7.
Ma non ritiene che quel tipo di intervento possa essere applicato anche a Gaza, così come evocato dal ministro degli esteri Massimo D'Alema in una intervista pubblicata venerdì dal quotidiano Haaretz. L'intervento delle forze internazionali in Libano deve intanto mostrare «successi tangibili». Se ciò dovesse accadere davvero Israele potrebbe vedere in futuro sotto una nuova luce l'utilità di un coinvolgimento internazionale sul terreno. Lo stesso D'Alema, peraltro, ha condizionato ad un successo della missione in Libano l'idea di inviare forze internazionali a Gaza. Allo stato attuale delle cose, ha precisato il portavoce del ministero degli esteri israeliano Mark Regev, Israele resta contrario alla presenza di forze internazionali nei Territori. «Si tratta di un problema politico e necessita una soluzione politica», ha precisato Regev riferendosi al costante rifiuto da parte del governo dell'Anp guidato da Hamas di riconoscere il diritto di Israele ad esistere, di rinunciare al terrorismo e di riconoscere gli impegni passati dell'Anp relativi al tracciato di pace, la cosiddetta Road Map. Secondo Israele, in questo caso il contributo più significativo che la comunità internazionale può dare è appunto politico: «Ossia occorre esercitare pressioni su Hamas affinché accetti le condizioni poste dal segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan», relative appunto al riconoscimento di Israele e al Tracciato di pace del Quartetto (Usa, Russia, Onu, Ue). Per quanto riguarda il ruolo delle forze internazionali in Libano, Regev ha tenuto a precisare che esse almeno nella interpretazione israeliana della risoluzione 1701 «dovranno presidiare tutti i transiti di frontiera: terrestri, marini ed aerei». Ciò al fine di imporre l'embargo delle forniture militari agli Hezbollah. Una interpretazione che venerdì sera è stata già contestata dal governo libanese. Nel frattempo a Gaza il ministro degli interni Said Siam (Hamas) è persuaso che stia per volgere al termine la crisi iniziata il 14 agosto con il rapimento di due giornalisti della Foz News, uno statunitense e l'altro neozelandese. La loro cattura è stata rivendicata dalle Brigate della Santa Jihad. Una mediazione è in corso e gli ostaggi stanno bene. In un breve lasso di tempo potrebbero tornare liberi.