di DARIO CASELLI POCHI lo ricordano.

Obiettivo: «Confermare il ritiro delle forze israeliane dal sud del Libano, ristabilire la pace e sicurezza internazionali, assistere il governo del Libano ad assicurare il ritorno della sua effettiva autorità nell'area». A quasi trent'anni di distanza da quell'insuccesso l'Onu ci riprova, sperando in un esito migliore. In realtà sono sempre di più quelli che oggi si interrogano sull'opportunità di una riedizione della missione e su un suo successo. In fin dei conti dopo tre decenni la situazione non è cambiata. Timori che però non sembrano aver scosso il centrosinistra italiano, che eccezion fatta per la sinistra radicale, è schierato sulle posizioni della triade Prodi-D'Alema-Parisi, convinta della necessità dell'intervento Onu. Anzi proprio su questa missione l'Unione sembra aver puntato tutte le sue carte, convinta che un successo internazionale oscurerà le sue divisioni interne. Sarà. Ma certamente la posta in gioco è alta e basta rileggere qualche pagina di storia per accorgersi che in effetti le missioni dell'Onu si sono rivelate spesso cocenti insuccessi. E non solo quella di fine anni '80. In quasi cinquant'anni di attività l'Onu è sempre intervenuta nei vari teatri di guerra. Fanno eccezione soltanto la guerra di Corea, la prima guerra del Golfo e la crisi di Haiti. Interventi che spesso non hanno portato all'auspicata pacificazione. Un esempio proprio la missione del '78 che riuscì ad ottenere il ritiro di Israele dai territori occupati nell'82 solo nel 2000. Ritiro che non portò alla normalizzazione nella zona ma all'ingovernabilità. Peggio accadde in Ruanda dove all'incapacità di gestione delle Nazione Unite si unì la tragedia del genocidio. Il tutto frutto del ritiro delle truppe Onu da Kigali e delle scelte dell'allora capo del Dipartimento delle Operazioni di Peacekeeping, Kofi Annan. L'11 gennaio del 1994 il generale canadese che guidava il contingente Onu in Ruanda, Romeo Dallaire, inviò un fax all'allora responsabile delle operazioni di peacekeeping, Kofi Annan appunto, del rischio di massacro dei tutsi per mano degli hutu. Annan rispose di non intervenire per «non andare oltre il mandato dell'Onu». E fu sterminio. Di genocidio in genocidio, al massacro di Srebenica. Anche lì la diretta responsabilità delle truppe dell'Onu. I generali dell'Onu invitarono i bosniaci musulmani a raggrupparsi in alcune città, tra cui Srebenica, in modo da facilitare le operazioni di difesa. Nessuna difesa ma ben settimila morti per mano delle truppe serbe. Ed infine, andando ancora più indietro nel tempo, fino al 29 novembre 1947, quando l'Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò un piano che prevedeva «la creazione degli Stati arabo ed ebraico non oltre il 1° ottobre 1948». Ma, dopo la proclamazione dello Stato di Israele esplosero le ostilità tra palestinesi e israeliani. Si decise così per una missione militare, l'UNTSO, con l'intento di controllare la tregua e permettere la realizzazione dei due Stati. Da allora la missione è ancora lì e l'Onu spende 30 milioni di dollari l'anno. Ma della tregua neanche l'ombra.