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Il ministro delle Riforme Vannino Chiti «Marini apre al dialogo non all'inciucio»

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Quanto alle altre missioni è possibile che in futuro dovremo valutare una diversa dislocazione di risorse e di mezzi in base al peso che eserciteranno le diverse operazioni». Vannino Chiti, ministro Ds delle Riforme e dei Rapporti con il Parlamento, chiarisce così la posizione della maggioranza in merito alla questione Libano. Lascia intendere anche che a breve la maggioranza potrebbe definire una sorta di scala delle priorità per le missioni in cui è impegnata l'Italia. Il ministro degli Esteri Massimo D'Alema è convinto che anche la Francia manderà un contingente robusto in Libano ma al momento l'impegno di Parigi come quello di Germania, Belgio e Olanda è limitato. Non c'è il rischio che l'Italia resti da sola? «D'Alema ha fatto sì che l'Italia fosse protagonista in uno sforzo di dialogo e di costruzione del percorso di pace. Non vedo alcuna frenata da parte dei Paesi dell'Unione Europea circa la partecipazione alla missione in Libano. Sono sicuro che i Paesi Ue non si tireranno indietro dalla decisione assunta in modo unanime in sede Onu. La partecipazione di Francia e Germania non sarà simbolica. Si tratta di chiarire bene le forme della presenza di ogni Paese e questo verrà fatto nel vertice dei ministri degli Esteri della Ue con Kofi Annan. In questa occasione l'Italia dovrebbe ricevere il mandato per guidare l'intervento multinazionale. È un grande risultato del nostro governo». Ma è anche un grande rischio. L'Italia non sarà esposta più degli altri Paesi europei nell'inviare i suoi soldati? «Se l'Italia riceverà il mandato per guidare l'intervento multinazionale sarà un riconoscimento importante. Nel momento in cui i governi di Israele e del Libano chiedono al nostro Paese di svolgere un ruolo di guida di primaria rilevanza nella direzione dcella forza dell'Onu è un messaggio chiaro della centralità del ruolo svolto dall'Italia. È uno di quei fatti che si commentano da sè. Peraltro l'Italia ha interessi vitali in quell'area». Ma se alcuni Paesi europei dovessero fare marcia indietro o frenare sulla missione oppure ridimensionare il loro contributo, voi che farete? «L'Italia si muoverà in coerenza con la sua politica estera e contribuirà per un terzo all'operazione internazionale. Ma sono sicuro che anche i partner europei faranno la loro parte anche perchè tutto si svolgerà sotto il cappello dell'Onu. È questa la grande novità. L'Onu è il protagonista forte della missione e si assume la responsabilità di un'iniziativa per riportare la pace. Il governo si è mosso sulle coordinate delle Nazione Unite e ha lavorato per tenere insieme la difesa dello stato di Israele e la sua sicurezza. Nella precedente legislatura l'asse della politica estera era stato modificato». In che senso Berlusconi aveva modificato la politica estera italiana? «Il centrodestra ha puntato a un rapporto bilaterale con gli Stati Uniti più che a costruire insieme all'Europa un rapporto di collaborazione con gli Usa. Inoltre la scorsa legislatura ha avuto un più marcato rapporto con Israele, che è una scelta giusta, ma non se questo vuol dire far venire meno il dialogo con il mondo arabo. Allora fermo restando che la sicurezza di Israele e il diritto all'esistenza dello Stato di Israele sono due punti indiscutibili, bisogna avere la capacità di istituire punti di collaborazione con il mondo arabo. E questo nell'interesse dell'Italia e dell'Unione europea». Ma siete sicuri che la diplomazia e la politica riescano a sbloccare la situazione di impasse del Libano? «Per la riuscita della missione è fondamentale che la forza multinazionale scenda in campo con l'accettazione dei Paesi coinvolti che ne riconoscano un ruolo primario per garantire il consolidamento della tregua. La forza multinazionale serve per dare spazio alla politica. In questo scenario l'Italia svolge una funzione centrale». Ma come la mettete con i pacifisti che a fronte di qu

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