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In Italia non si ferma la guerra tra filoisraeliani e amici di Hezbollah

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E in Italia? Be', in Italia, la guerra continua. Una guerra culturale, la solita, tra chi tifa pro o contro Israele: di qua le forze del progresso, di là quelle della reazione. È un vecchio copione. Anzi è il Bignami stesso della nostra storia nazionale. Capita, infatti, che l'Italia a volte si svegli napoleonica e, credendosi il mondo, trasformi le sue misere idee fisse in una specie di giudizio universale, al quale il mondo raramente (e c'è da capirlo) presta poi orecchio. Nelle redazioni dei giornali, al mare, ai monti, ovunque i politici e gli opinionisti cerchino riparo dal solleone, gli esternatori sono tutti sul sentiero di guerra, con l'orecchio sempre incollato al cellulare, per vedere se il numero dell'Ansa, la loro coperta di Linus, si è finalmente liberato. Chi ha vinto, per cominciare, Israele o gli Hezbollah? Secondo il nostro ministro degli Esteri, che ormai un po' tutti (anche l'ex presidente Cossiga, persino Gad Lerner) sbertucciano per il suo «struscio» tra le rovine di Beirut sottobraccio con un capo Hezbollah, la guerra è stata fatale soprattutto a Israele (non perché abbia precisamente perso la partita ma perché ha mostrato al mondo intero la sua debolezza, sia politica che militare). Questo significa che hanno vinto gli Hezbollah e che il nostro ministro degli Esteri se ne compiace? Massimo D'Alema non dice questo, se ne guarda bene, ché già si è tirato addosso abbastanza disgrazie per via delle sue passeggiate libanesi fuori porta con telecamere di «Al Jazeera» al seguito, ma c'è chi lo fa al suo posto: per esempio gl'irriducibili on line dell'antimperialismo e gli entusiasti, sempre in fregola, della sinistra chic. Ma ci sono altre scuole di pensiero, più realistiche. Per quanto prodiano, infatti, per quanto equivicinissimo al centrosinistra, il salotto buono dell'economia («Stampa» e «Corriere» in testa) non prende le distanze da Israele e neppure crede nella sua sconfitta. Tanto da scomodare persino un generale libanese in pensione, tale Wahebi Katisha, per fargli dichiarare al «Corrierone» che l'idea della travolgente vittoria degli Hezbollah sull'esercito israeliano è un'assoluta «stupidaggine» diffusa urbi et orbi «dalla propaganda araba e dalla stampa occidentale, che si lascia sedurre dall'immagine dei guerriglieri-partigiani armati di mitra contro i Merkava di Golia». E poi di chi è la colpa? Chi ha colpito per primo? Benché sia impossibile negare che Hezbollah, sequestrando due militari israeliani e uccidendone altri quattro, abbia provocato a bella posta il disastro, c'è una parte dell'intellighenzia italiana che punta il dito contro Israele: la sua stessa esistenza («in ultima analisi», come si diceva una volta) è una provocazione. Hezbollah, come del resto nessuno nega, si fa scudo dei civili? Su questo i tifosi della «resistenza» glissano: parliamo d'altro, queste sono piccinerie. Non glissano, invece, e fanno bene, i sostenitori d'Israele, che tifano per le sue ragioni e per la sua esistenza geografica (date per esempio un'occhiata al sito benemerito www.informazionecorretta.com). E andrebbero o no disarmati gli Hezbollah (come vuole anche una risoluzione dell'Onu)? Secondo «Il Foglio» e altre testate seguaci del verbo neocon gli Hezbollah sono «fascisti islamici»: terroristi fatti e finiti che prima vengono disarmati e meglio è. Secondo Oliviero Diliberto no, invece. Guai a disarmarli, sarebbe «una follia»: gli Hezbollah oggi «rappresentano i libanesi molto più di prima e sono popolarissimi anche fuori dal Libano». Meritano un premio: il missile d'oro, da tirare su chi gli gira.

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