Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Il ministro: «Laggiù c'è il rischio di usare le armi»

default_image

  • a
  • a
  • a

Ma davvero? Realmente i nostri soldati laggiù potrebbero essere costretti a sparare? Parisi deve aver proprio scoperto l'acqua calda. Perché c'è un solo italiano che non pensa che la missione Onu in Libano racchiuda più d'un rischio? C'è una sola persona che non reputa ovvio il fatto che i nostri soldati possano essere costretti dalle circostanze a rispondere al fuoco? Per questo stupisce quella considerazione del ministro Parisi: «In Libano c'è il rischio di usare le armi». Ma guarda un po'... Mica è una gita di piacere. È una missione di interposizione e la parola stessa in sé lo dice: i soldati si metteranno in mezzo tra due fuochi i cui carboni, come ribadisce lo stesso Parisi, «sono ancora ardentissimi». Sembra quel vecchio monologo di Giorgio Gaber, in cui Giotto dipinge il cielo sempre d'oro, finché non alza gli occhi al cielo e dice: «Boh, a me sembra azzurro». E il cantautore: «Bastava guardare». Infatti. Parisi adesso ha dato una sbirciatina e ha capito: in Libano c'è il rischio di usare le armi. Detto questo, altro discorso è in che modo i nostri soldati potranno rispondere al fuoco. In questo, Parisi ha ragione da vendere: la missione italiana è «un intervento militare» e i nostri soldati, ha detto Parisi, lavorano per prepararsi a questo. Per questo, il ministro ha affermato di voler capire i termini precisi della missione: «Innanzitutto il concetto operativo così come dedotto dalla risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza Onu. Poi le regole di ingaggio che sono connesse direttamente al mandato stesso. Infine, la catena di comando». Solo quando questi punti saranno chiari - ha spiegato Parisi - «potremo decidere quanti soldati mandare». Il presidente del Consiglio Romano Prodi, dal canto suo, ieri ha parlato a lungo col segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, e col primo ministro libanese Fuad Siniora. Prodi si è detto soddisfatto del colloquio con Annan: «È andato molto bene. L'Italia ha un ruolo davvero importante nel Mediterraneo e come tale viene riconosciuto. Il discorso principale è quello di aiutare il Libano, di contribuire alla ricostruzione, nonché alla pacificazione e all'integrità del paese mediorientale. Hezbollah? Non parteciperemo al disarmo. Confido in una soluzione politica». Sulla missione Onu, Prodi si ha preteso che il contingente Unifil «abbia un mandato chiaro, privo di ambiguità e con regole d'ingaggio ben precise per i militari che saranno impegnati in zona». Con Siniora, invece, Prodi ha parlato delle prossime mosse del governo di Beirut. Il premier libanese ha riferito che l'esercito regolare comincerà a schierarsi a sud del Litani, assicurando che Hezbollah ha accettato le disposizioni della risoluzione 1701 e collaborerà con la forza Onu. Prodi ha accolto con soddisfazione queste notizie. Proprio finalizzata alla partecipazione italiana alla forza Unifil è la riunione del Consiglio dei ministri al gran completo in programma questa mattina alle 9. Il Cdm dovrà finalizzare il via libera alla missione e concertare le linee guida di un provvedimento su entità del contingente, costi e regole d'ingaggio. Alle 10.30, i ministri di Esteri e Difesa, D'Alema e Parisi, riferiranno nella sala del Mappamondo di Montecitorio a ben quattro commissioni: Esteri e Difesa di Camera e Senato, nel cui organigramma figurano tutti i big di maggioranza e opposizione: Fassino (Ds), Fini e Ronchi (An), Casini, Follini, Cesa e Baccini (Udc), Maroni (Lega), Pisanu e Pera (FI). Oltre a Scalfaro, Dini e Andreotti. Assente Berlusconi. Nelle due commissioni del Senato la maggioranza è esigua: 13 senatori Cdl e 14 del centrosinistra nella Esteri, compreso Andreotti, perplesso sull'opportunità della missione. Addirittura 12 senatori pari nella commissione difesa presieduta da De Gregorio (Idv), con Paolo Guzzanti (FI) e Fosco Giannini (Prc) in bilico tra il sì e il no. Alle 13, concluso il dibattito, le commissioni Esteri e Difesa della Camera, presente il

Dai blog