GUERRA IN MEDIO ORIENTE
Con il massimo della prudenza. Romano Prodi sceglie la via della cautela. Le parole misurate al millimetro, massimo coinvolgimento dell'opposizione, frenata su qualunque tipo di sortita. Non solo, il premier effettua anche un giro di telefonate con i leader dei partiti alleati, chiedendo a tutti il massimo sostegno, anche (e soprattutto) pubblico: con un serie di dichiarazioni da rilasciare ai media, per esempio. Anche il percorso che è stato avviato è improntato alla massima prudenza. Venerdì si riunisce il consiglio del ministri, durante il quale sarà svolta sola un'informativa. Poi Prodi rimette tutto al Parlamento e alle decisioni dell'Onu, attenderà le loro deliberazioni. Come se volesse un po' scaricare le responsabilità delle scelte da prendere e un po' ricercare il massimo coinvolgimento di tutti, a cominciare dall'opposizione. E soprattutto come se cercasse di mantenere una sorta di unità che almeno per ora sembra esserci all'interno della maggioranza. Anche per questo nel vertice dell'altra sera sono stati esaminati i punti precisi da riferire nel consiglio dei ministri del 18, evitando i nodi che possono incrinare la tenuta della coalizione. Come quello sulle regole d'ingaggio, sui cui Prodi - parlando con i giornalisti ieri - elegantemente glissa: «Ci sono organi tecnici che stanno lavorando. Sono riuniti da stamattina. Poi c'è tutto il complicato discorso diplomatico tra i diversi Paesi sul numero dei militari da inviare e sul coordinamento degli aiuti». Ma è chiaro che quello è il punto più delicato. I «tecnici», come li chiama il premier, potrebbero riferire già prima della riunione del governo di venerdì. Tutto ruota attorno alla parte dela risoluzione Onu in cui si afferma la necessità di disarmare Hezbollah. «Che vuol dire? Che l'Onu deve fare la guerra al posto di Israele? E in che modo bisogna disarmarli? Con quali poteri?», si domandano a Palazzo Chigi. Se il mandato ai caschi blu sarà «ampio e forte» come fanno sapere da New York, è difficile che la sinistra radicale possa dare l'ok. Il premier si rimette alle Camere: «Il Parlamento farà tutto il più presto possibile. Per quello che è nelle mie competenze posso dire che ci faremo trovare pronti in modo da partire appena si potrà farlo con la sicurezza dei nostri soldati, con un mandato preciso e con un quadro ben delineato sotto l'aspetto politico». Al premier è stato chiesto di fare qualche ipotesi sui tempi per la partenza dei nostri militari. «Noi - risponde il premier - attendiamo tutte le istruzioni e le norme di protocollo. Posso solo parlarvi di quello di cui sono responsabile io. Confermo che il Consiglio dei ministri si riunirà il 18 agosto mattina. Ma credo che anche il Parlamento farà tutto prima possibile». Poi chiama i leader dell'opposizione uno per uno. Prima Berlusconi, poi Fini e Casini per coinvolgerli in un potenziale via libera alla missione. Anche se, a quanto sembra di capire, l'opposizione in questa fase aspetta prima le mosse concrete del governo e attenderà quanto verrà a dire in Parlamento la settimana prossima. Quello che è accaduto, tuttavia, è una novità. Il Professore sente che questa volta la situazione è delicata. Accantona il «metodo Bersani» (prima si discute e poi si decide) e a differenza del blitz sulle liberalizazioni, il capo del governo inaugura la concertazione massima: con alleati, opposizioni e a livello internazionale. Raggiunge per esempio al telefono anche George Bush (che proprio qualche giorno fa aveva detto chiaro e tondo che l'obiettivo principale della risoluzione Onu è diarmare la milizia radicale sciita). Il presidente degli Stati Unit, si legge in una nota, ha definito, «forte e coraggiosa» la scelta dell'Italia di «contribuire in modo significativo» alla costituenda forza Onu in Libano. «L'Italia - rispode Prodi a Bush - desidera per la forza Onu un mandato chiaro e privo di ambiguità». Prodi e Bush convengono sulla necessità che la «comunità internazionale resti mobilitata a favore della popolazione palestinese». E dopo, parlando con i