Il mea culpa di Livia Turco
Il ministro della Salute Livia Turco ha esposto così, ieri, la sua linea difensiva sulle pagine della Stampa. Il trambusto generato dal caso Cognetti (l'oncologo che il ministro ha sostituito al vertice dell'istituto tumori Regina Elena di Roma) non accenna a placarsi e così lei ha deciso di scendere in campo. In un'intervista al quotidiano torinese, il ministro ha ammesso di non sapere che il professore avesse avuto in cura il figlio dell'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, né che lo stesso Cognetti avesse rapporti di collaborazione con Forza Italia. «Io - ha aggiunto - questo Cognetti non sapevo nemmeno chi fosse. Sì, cioè, lo sapevo. Sapevo che stava lì, al Regina Elena, ma non è che conoscessi chi curava e le sue idee politiche e tutta la sua storia. Avevo visto il suo curriculum». E in merito alle critiche bipartisan che le se sono arrivate ha replicato: «Mi sono accorta troppo tardi, alla prova dei fatti, che applicare quelle norme era pericoloso, si può dire anche sbagliato, volendo. Prima non lo sapevo». Il riferimento è alle norme secondo cui le nomine negli istituti di ricerca spettano al ministro. Nessuna retromarcia, però: «Sto soltando dicendo che nella vita conta l'esperienza che uno fa. E stavolta l'esperienza mi ha insegnato che così non funziona. Le nomine non le può fare un ministro, da solo. Serve una revisione della legge, e a settembre ci lavoreremo sopra». D'accordo con lei anche il ministro della Ricerca Fabio Mussi: «Un ministro non può decidere in solitudine. Sulle nomine è giusto cambiare la legge». «Per quello che mi riguarda - ha detto Mussi intervistato dal Messaggero - adotterò un sistema, per ora non codificato, ma neppure vietato. Quando sarà il momento per le nomine negli enti di Ricerca mi avvarrò dei comitati, formati da personalità indipendenti e di indiscusso profilo, che proporranno al ministero una rosa di nomi. Mi impegnerò a scegliere all'interno di quella rosa».