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Sta per partire l'assalto a Fs, Rai Poste e ministeri

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Non sono bastate le 123 nomine di 80 giorni del governo. Il centrosinistra si prepara a un nuovo assalto a settembre. Sulle scrivanie di vari ministri fioccano i dossier di altre aziende da colonizzare. Di certo quella che maggiormente è nel mirino è la Rai. Per usare una definizione dell'attuale ministro dell'Interno Giuliano Amato, «a sinistra c'è un conflitto di interessi perché ci si considera proprietari della Rai». E l'attuale governo non digerisce che a viale Mazzini ci sia una maggioranza di centrodestra e vorrebbe fare piazza pulita. A cominciare dal consigliere di amministrazione nominato dall'azionista, dunque dal ministero del Tesoro: Angelo Maria Petroni. Senza tanti giri di parole il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni ha chiesto la sua testa. Roba da editto bulgaro berlusconiano (il riferimento è a quando il Cavaliere disse che Santoro, Biagi e Luttazzi avevano fatto un uso criminale della tv e ne chiedeva l'oscuramento). Via Petroni perché, spiegano dal centrosinistra, è cambiato il governo e quindi deve cambiare anche la maggioranza del vertice di viale Mazzini. Alla faccia della Rai libera dai partiti. Tanto per dare l'esempio, quando vinse Berlusconi nel 2001, Zaccaria e soci rimasero in carica un altro annetto. E via Petroni perché così il centrosinistra potrebbe avviare un bel giro di poltrone che coinvolgerebbe i direttori dei Tg e delle Reti, tanto per cominciare. Poltrone, poltrone, poltrone. Dalla Rai alle Ferrovie dello Stato il passo è breve. Anzi, l'assalto all'azienda di piazza della Croce Rossa era già pronto. All'attuale presidente e amministratore delegato, Elio Catania, era già stato chiesto di fare le valigie ed era pronto il ticket che doveva sostituirlo con Mauro Moretti come ad e Fabiano Fabiani come presidente. Una sostituzione che non è andata in porto solo per il veto di Rutelli. Dunque, per le divisioni interne al centrosinistra perché, al leader della Margherita, non era troppo gradito Fabiani. Già, il vicepremier è stato il vero protagonista dell'assalto alle poltrone in questi poco più che due mesi e mezzo di governo. Da solo ha sistemato ben 41 persone, un terzo del totale delle nomine fatte dal governo. Tutta gente nuova. Con qualche eccezione: una è l'ex moglie di Pier Ferdinando Casini, Roberta Lubich. Ha persino nominato una commissione che deve decidere che fine fa Arcus, la società del ministero che si occupa dei lavori pubblici. Come finirà? È facile immaginarlo: l'organismo a settembre suggerirà il ricambio del vertice. Ci si può scommettere. Poltrone, poltrone e ancora poltrone. Scricchiola quella di Massimo Sarmi, alla guida di Poste italiane. Considerato un amico di Gianfranco Fini, rischia di saltare. Al suo posto si prepara Vittorio Colao, che a sua volta aveva rifiutato di planare su Alitalia. Ed eccoci a Giancarlo Cimoli, appena confermato dall'azionista Tommaso Padoa Schioppa in mancanza di alternative. Il che lascia l'attuale amministratore delegato della compagnia aerea in carica ma in bilico. Pronto a essere sostituito, come vorrebbero i sindacati. Ma non viene cambiato perché ha la fortuna di sedere su una poltrona che scotta, una di quelle che nessuno vuole. E in questo valzer di nomine e posti al sole, sedie a sdraio, scranni, seggiole mancano ancora i nomi pesanti della stretta cerchia di Romano Prodi. Anzi, l'uomo fidato del Professore che ha la delega ai curricula, Angelo Rovati, ha fallito nell'unico vero blitz finora portato a termine. Voleva infatti Antonello Perricone come direttore generale della Rai: si dovrà accontentare della guida della Rcs, la casa editrice di Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport. Il premier non ha ancora calato gli assi. come Corrado Passera (ammesso che lasci Banca Intesa), Alessandro Ovi (al quale è stata promessa la Rai), Franco Bernabè, Francesco Mengozzi o Gian Maria Gros Pietro. O Luigi Abete, un nome che spunta sempre. Fino a Giovanni Minoli anche se a Palazzo Chigi a suo propostio fanno notare: «È più lui che s'accredita che noi a cercarlo».

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