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«Prima imparino l'italiano»

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L'approvazione del Ddl Amato, che dimezza i tempi agli immigrati per avere la cittadinanza italiana, ha provocato nella Cdl una levata di scudi. La prima questione di puntualizzazione da parte della Cdl proprio quella dell'italiano. Molti rappresentanti dell'opposizione si sono espressi, proprio per rimarcare la necessità di subordinare la cittadinanza alla conoscenza dell'italiano, come a dire «essere un italiano avendo tutti i titoli», perché, come ha spiegato Mario Tassone, vice segretario dell'Udc «bisogna guardare con interesse alle esperienze di altri paesi come Francia e Germania, laddove l'integrazione passa anche e soprattutto per l'integrazione linguistica. Chi vorrà pertanto ottenere cittadinanza italiana, ha aggiunto, dovrà dimostrare di conoscere la nostra cultura e la nostra lingua». Dello stesso avviso, ma con toni decisamente più aspri, anche Maurizio Gasparri, deputato di An, secondo il quale «la concessione della cittadinanza è una scelta molto delicata da subordinare alla conoscenza della lingua e della cultura italiana, alla dimostrata adesione a principi democratici e a comportamenti che troppe volte gli immigrati, soprattutto quelli lambiti dal delirio fondamentalista dimostrano di non volere e sapere condividere». E non solo. Secondo Gasparri quella della cittadinanza «può essere addirittura una porta di ingresso non per integrare persone che condividano i principi della nostra civiltà, ma potenziali terroristi». «Cinque anni di residenza per ottenere la cittadinanza - ha sottolineato Italo Bocchino, capogruppo di Alleanza Nazionale in Commissione Affari Costituzionali alla Camera - non bastano a fare di un extracomunitario un italiano integrato, che ai sensi della nostra costituzione potrebbe teoricamente divenire Presidente della Repubblica. Serve più tempo ed una serie di verifiche per distinguere tra chi è in Italia a fare il gruzzolo da investire nel suo Paese e chi sogna di avere figli e nipoti italiani». Gia. Ron.

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