Il leader dell'Idv non si fa vedere in Senato Il ministro chiede un chiarimento all'Unione
E non è andata meglio ad Antonio Di Pietro, ministro delle Infrastrutture, leader dell'Italia dei Valori, autodesignatosi nemico giurato dell'indulto «allargato». Di Pietro si è ritrovato al tappeto (e nemmeno in modo glorioso) dopo una rissa da bar con il collega Mastella. La sua crociata a favore di un indulto «per settori», (questi sì e questi no), dopo aver dichiarato il «fuoco a volontà» contro il provvedimento, si è risolta in una Caporetto nella quale, a rompere le fila e a scompigliarsi disordinatamente, sono stati prima di tutto gli appartenenti alla sua stessa compagine politica. Ieri, mentre l'indulto diventava legge in Senato, Antonio Di Pietro non era in aula. E, a dire il vero, non c'era nemmeno un accenno di protesta da parte dei compagni di partito. Sergio De Gregorio, dipietrista e presidente della Commissione Difesa del Senato, aveva già dichiarato la sua astensione per non andare contro alle raccomandazioni fatte a suo tempo da Giovanni Paolo II. Tanto che ieri ha anche incassato il saluto benevolo di Mastella: «Sei stato bravo a ritirare gli emendamenti. Certo, resta un piccolo neo, la tua astensione, potevi votare a favore, ma sei stato bravo lo stesso». Favorevole all'indulto, in aperta polemica con il partito (ma forse sarebbe più corretto dire con il suo leader) anche Franca Rame. Ieri era il giorno della verità e, dopo aver presidiato l'aula di Montecitorio per giorni, Antonio Di Pietro non era presente in Senato. Il ministro non s'è visto nemmeno in mattinata al sit-in organizzato dai dipietristi (curiosamente orbi di Di Pietro). C'è stato anche un intermezzo comico. Il Senato si è trovato a votare (bocciandoli) gli emendamenti dell'Idv che, hanno precisato ad un certo punto i rappresentanti del partito, erano già stati precedentemente ritirati. Durante la giornata il capogruppo Idv in Senato, Nello Formisano, non si è fatto sentire più di tanto. Le fila dei dipietristi nel giorno della verità sono state scompigliate da un'aria di smobilitazione. Tanto che le operazioni di voto, che molti temevano si sarebbero protratte a lungo proprio a causa di una viva opposizione, sono risultate invece abbastanza veloci. Alla fine Clemente Mastella, che ha difeso con fermezza la sua linea di pensiero, si è trovato di fronte non un esercito schierato, ma una moltitudine in rotta. E senza generale. Forse il motivo della genetica impossibilità ad andare d'accordo dei due l'ha azzeccata Simone Baldelli, deputato azzurro e membro del direttivo di Forza Italia alla Camera: «Dalla querelle tra i ministri Di Pietro e Mastella appare chiaro che non c'è solo una divergenza politica, ma anche un'invidia profonda di ciascuno per il ministero dell'altro». Di Pietro si è fatto risentire ieri dopo la votazione: «È una scelta sbagliata di cui pagheremo grandi conseguenze in termini di difesa sociale, di sicurezza pubblica, di credibilità delle istituzioni e della coalizione. Questo indulto, così come si è realizzato, è frutto di un accordo tra il centrosinistra e Forza Italia, anzi di un ricatto a cui il centrosinistra si è sottoposto». Ed ha aggiunto che considera indispensabile un confronto con le altre forze di governo per «ridefinire il programma e le attività in materia di legislazione giudiziaria». E adesso che succederà? Si domanderà qualcuno. Di Pietro se ne tornerà tranquillo tranquillo a fare il ministro delle Infrastrutture, come se niente fosse? Viene in mente la famosa battuta di Totò: «Ma mi faccia il piacere!»