La Cdl: «Hanno chiuso il Parlamento»

È continuata anche ieri mattina, dopo la dura polemica che si era sviluppata giovedì in tarda serata la polemica a Palazzo Madama. In sostanza Alleanza nazionale e Forza Italia contestano il processo verbale della seduta dell'Aula dell'altra sera, in particolare al momento del voto sulla fiducia al ddl Afghanistan, e chiedono la verifica del numero legale. E visto che il controllo ha dato esito negativo, la seduta è stata sospesa per poi riprendere più tardi con il via libera al processo verbale. «Così come è scritto non approviamo il processo verbale e chiediamo la verifica del numero legale», dice il capogruppo di An Altero Matteoli, intervenendo per primo ieri mattina in Aula a Palazzo Madama. Verbale, che «non riporta la discussione di ieri sera dopo il voto», sottolinea l'ex ministro dell'Ambiente. Sia Matteoli sia il capogruppo di Forza Italia Renato Schifani parlano di «vulnus» a proposito delle procedure seguite l'altra sera nella determinazione del quorum di validità del voto. Una ferita «ancora calda», sottolinea l'esponente azzurro. Ma che cosa era successo la sera precedente? È stata bagarre in Aula dopo il voto di fiducia all'articolo 2 del disgno di legge di rifinanziamento delle missioni italiane all'estero. Quando il presidente del Senato, Franco Marini, ha comunicato l'esito del voto, ha chiesto la parola il presidente dei senatori di FI, Renato Schifani, che ha contestato le modalità di computo dei voti e la loro comunicazione. «Ho la fondata sensazione che si sia adoperato un metodo di calcolo del quorum difforme da quello usato nel passato. La prego di smentire questa sensazione» ha detto Schifani. Gli ha fatto eco il presidente dei senatori di An, Matteoli che ha aggiunto: «Dai 322 senatori bisogna togliere i 4 colleghi in missione, restano 318 la cui metà è 159 che rappresenta il quorum. Ne consegue che la votazione non è valida». Immediata la replica di Marini, che ha detto: «La risposta è semplice: il presidente del Senato non vota, ma è presente, quindi il quorum c'è e la votazione è regolare». Ma la Cdl non ci sta. Dopo la terza fiducia in sette giorni il centrodestra stigmatizza quella che in uno striscione esposto da Lega nell'aula del Senato ha definito la «dittatura di Prodi», i rapporti tra i Poli sono al calor bianco. «È alquanto paradossale - dice il capogruppo del Carroccio, Roberto Castelli - che chi ha dichiarato che la Cdl voleva ridurre il Parlamento a una sorta di succursale del governo per la riforma costituzionale, oggi faccia molto peggio chiudendo di fatto il Parlamento. Questo non solo ci indigna - aggiunge - ma vedremo di portare la nostra indignazione anche ad altri livelli. In Aula abbiamo espresso la nostra fortissima contrarietà non sul provvedimento, perché sull'Afghanistan il governo non fa altro che seguire le indicazioni che avevamo dato noi, quindi vanno a farsi benedire tutti i cortei, le bandiere della pace, i girotondi. Prendiamo atto - conclude Castelli - che la politica internazionale di questo governo non è altro che quella che facevamo noi ma non è possibile che, per superare i loro gravissimi problemi interni, umilino un'altra volta il Senato». Ma quello che si è visto in aula è chiaro che segna una sorta di cambio di strategia da parte dell'opposizione, che, dopo essere stata piuttosto morbida nei confronti della maggioranza, ha deciso di alzare i toni, procedendo continuamente alla verifica dei numero legale. Il che finirà per rallentare ulteriormente i lavori del Senato. Ieri al ristorante del Senato le facce erano preoccupate. Tutti, nuovi e vecchi arrivati chiedevano ai camerieri se avevano avuto disposizioni sulla settimana prossima. «Ci hanno detto - ha riferito un senatore che preferisce l'anonimato - che è stato detto loro di tenersi pronti a riaprire martedì con l'indulto. Un brutto segno. D'altra parte non credo proprio che ex magistrati seri come D'Ambrosio e Casson rinuncino a presentare propri emendamenti correttivi al testo che ci è arrivato