HANNO marciato compatti per i primi due mesi di legislatura, ma ora, dopo i voti di fiducia, i litigi, ...
Così vicini eppure così lontani. Le differenze si sono acuite nelle ultime settimane. Da un lato l'asse Napolitano-Marini a sottolineare i limiti di una maggioranza che non può andare avanti a «colpi di fiducia» e deve aprirsi al dialogo con la Cdl. Dall'altro il duo Prodi-Bertinotti a ribadire che, l'Unione ha il dovere di governare e non esistono alternative alla maggioranza uscita dalle urne il 9 e 10 aprile. E non sembra un caso che Napolitano e Marini siano espressione di Ds e Margherita. Cioè proprio di quei partiti (nella Margherita solo gli ex-Dc) che in questi mesi hanno più ammiccato all'ipotesi di larghe intese e di dialogo con l'opposizione. Gli stessi partiti che, dopo le elezioni politiche, aveva lanciato l'idea, con Gavino Agius (Ds) e Renzo Lusetti (Dl), di affidare alla Casa delle Libertà la presidenza di una delle due Camere. Allora andò come andò. Ma Marini e Napolitano non hanno certo perso di vista l'obiettivo. Così, dopo l'intervista fiume al Corriere della Sera alla vigilia del voto di rifinanziamento della missione militare in Afghanistan, ieri il presidente del Senato è tornato a stigmatizzare la pratica della fiducia. «Incontriamoci - ha detto partecipando alla manifestazione del ventaglio organizzata dall'associazione stampa parlamentare - parliamoci e vediamo se c'è la possibilità di uno sforzo comune, che serve sia alla maggioranza che all'opposizione. È interesse del Paese che su alcuni punti ci sia dialogo e possibilmente intesa». Per Marini, quindi, l'idea alla base non è certo un «rimescolamento delle carte in questa fase», piuttosto delle «convergenze su alcuni punti strategici affinché maggioranza e opposizione lavorino insieme». Più «diretto» il presidente della Repubblica che, per ben due giorni di fila, ha «preso di petto», ricevendolo al Quirinale, Romano Prodi (giovedì assieme al sottosegretario Letta e ieri assieme ai componenti del comitato di solidarietà per le popolazioni colpite dallo tsunami). Il contenuto dei colloqui tra i due sarebbe stato sempre lo stesso: basta con gli scontri. Prodi avrebbe comunque rassicurato il Capo dello Stato che il governo non porrà la fiducia sul decreto Bersani in discussione alla Camera a meno che non ci sia «il rischio di stravolgimenti». Una rassicurazione quasi obbligata visti i malumori che il ricorso continuo alla fiducia sta generando all'interno della maggioranza e nel confronto con l'opposizione. Ma, al di là delle rassicurazioni tecniche, Prodi non pare affatto aver ammorbidito la linea e, a chi gli fa notare le enormi difficoltà che l'Unione continua ad avere al Senato, risponde stizzito di «andare avanti». Esattamente la stessa linea tenuta da Bertinotti che teme che i Ds e gli ex Dc della Margherita stiano già lavorando ad un dopo-Prodi e ad un governo di larghe intese che escluda la sinistra radicale. Per il momento, comunque, la prima parte della guerra sembra averla vinta l'asse Prodi-Bertinotti. Ma Marini e Napolitano sanno aspettare. N. I.