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Minacce, abbandoni, autosospensioni: è iniziata la fuga

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Ma poi alla fine rimangono tutti al loro posto, aggrappati fieramente alle poltrone. Da quasi due mesi nella composita maggioranza di centrosinistra e nel governo non si fa altro. Una gara a chi la spara più grossa. E al gioco partecipano tutti gli esponenti dell'Unione. Nessuno escluso. Dai big ai gregari. Da Massimo D'Alema, ministro degli Esteri al suo collega alla Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero. Senza dimenticare il guardasigilli Clemente Mastella, il ministro dell'Università. Fabio Mussi e l'autosospeso Antonio Di Pietro a capo del dicastero delle Infrastrutture. A cimentarsi però non solo ministri ma anche deputati come Paolo Cacciari, fratello del più famoso Cacciari, sindaco di Venezia, oppure Roberto Villetti capogruppo dimissionario alla Camera della Rosa nel Pugno. Almeno in questi due ultimi casi le dimissioni sono state non solo annunciate ma anche presentate. È il metodo Bertinotti: vince chi urla di più. Diversamente gli altri. Come nel caso di Massimo D'Alema, ministro degli Esteri. In verità il suo fu più un avvertimento. Erano i giorni caldi della preparazione del decreto sul rifinanziamento delle missioni all'estero. L'Unione era sull'orlo di una crisi di nervi e non tanto per la questione irachena, dove invece tutti si erano trovati d'accordo, ma piuttosto sulla missione in Afghanistan. Sinistra radicale e pacifista sul piede di guerra. Al grido di discontinuità Verdi, Pdci e Rifondazione Comunista pronti a votare contro il decreto. Ed in questo psicodramma D'Alema lancia il suo avvertimento. Freddo come sempre Baffino spiega che «la maggioranza deve essere tale anche in politica estera», e che «la politica estera di queste settimane è chiaramente caratterizzata sulla base del programma elettorale dell'Unione e presenta segni di novità». Da qui il passo alle annunciate dimissioni è breve: «Se non va bene il mio mandato è a disposizione». Diverso l'atteggiamento di Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà Sociale, che non minaccia dimissioni. Da vecchio dirigente di partito Ferrero si dichiara pronto a sfilare nelle piazze contro il Dpef. Un caso unico nella storia, di un ministro al fianco dei manifestanti per protestare contro il governo di cui fa parte. Tutto perché così com'è il Dpef «non garantisce che l'azione di risanamento non si traduca in un taglio della spesa sociale su settori importanti a partire dalla sanità e le pensioni». Fino ad ora non è dato sapere se il ministro Ferrero parteciperà a possibili scioperi anti-Dpef. Bisognerà attendere l'approvazione finale del documento. Chi invece si è dimesso sul serio è stato Paolo Cacciari. Motivo? Il voto alla Camera sul decreto di rifinanziamento delle missioni all'estero per rispetto del suo spirito pacifista, lasciando però al partito la scelta definitiva. Decisione presa dall'intera Aula di Montecitorio che ha respinto le dimissioni. Sul versante di chi annuncia le dimissione ma poi non le presenta c'è Clemente Mastella, ministro della Giustizia. A far perdere la pazienza al leader di Ceppaloni l'attivismo e la ferma opposizione del ministro Di Pietro all'approvazione dell'indulto. Dimissioni annunciate per lettera al premier Prodi perché per Mastella non è possibile «accettare l'immagine per cui lui è morale ed io immorale. Io non prendo lezioni di moralità da nessuno». Una missiva che lascia decidere tutto a Prodi «che deve chiarire, sapendo che a me piace la politica, di fare il ministro me ne importa poco». Sarà anche così ma delle dimissioni neanche l'ombra. Ed intanto l'indulto è stato approvato alla Camera. Non è da meno neanche il ministro dell'Università, Fabio Mussi, che di fronte ad una possibile riduzione dei finanziamenti a favore della ricerca e della formazione risponde: «Si potrebbe fare ma si tratterebbe di un'altra politica. Nel qual caso ci vorrà un altro Ministro». Ed infine c'è Antonio Di Pietro. Per il ministro delle Infrastrutture niente dimissioni ma una vera innovazione giuridica e costituzionale: l'autosospensione d

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