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Il provvedimento ora va all'esame del Senato

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Riparte la battaglia tra Rifondazione e Pdci

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Ma per arrivare a questo risultato i sostenitori del provvedimento devono faticare sette camicie. Devono fronteggiare non solo la «crociata» di Antonio Di Pietro in difesa della legalità e l'ostruzionismo di An, ma anche la clamorosa «retromarcia» del Pdci che, attraverso il leader Oliviero Diliberto, annuncia la decisione di astenersi. In un'Aula ad alta tensione, insomma, la Camera dà il via libera all'indulto, che ora passa al Senato, con il presidente Marini che ha già promesso il via libera entro sabato. Ma nell'Unione si aprono ferite. Il risultato di due giorni di trattative tra Poli, alla fine, è che il testo messo a punto dal relatore Enrico Buemi (Rnp) può subire modifiche. Dopo quella introdotta mercoledì con l'emendamento di Pierluigi Mantini (Margherita), che depennava dai benefici le pene accessorie temporanee, la Camera ieri ha escluso dallo sconto di pena anche i reati di usura (una battaglia del diessino Luciano Violante). Mentre non è passata la proposta, targata Idv e caldeggiata dal Pdci, di escludere il cosiddetto «voto di scambio», l'accordo cioè tra mafia e politica per le elezioni. L'emendamento è stato bocciato con 408 no, 57 sì e 53 astensioni, quasi tutte di An. È stata proprio questa bocciatura a far andare su tutte le furie Oliviero Diliberto, già messo a dura prova dai richiami «alla responsabilità» su Afghanistan e Dpef. «Si è tappato il naso troppe volte - spiegano i suoi -. Non può rendersi complice dell'indulto per chi scende a patti con la mafia». Così riunisce i suoi e li fa votare. La scelta, che comunica, a sorpresa, in Aula cade sull'astensione. E quando pronuncia frasi come «noi siamo da sempre a favore dell'indulto, ma non possiamo condividere questo testo che prevede il beneficio anche per il voto di scambio», la tensione nell'Unione si fa evidente. Anche perché Diliberto attacca frontalmente Francesco Forgione, deputato del Prc candidato alla presidenza della commissione Antimafia: «Mi fa specie che abbia preso la parola per spiegare perché avrebbe votato contro l'emendamento in questione». Il pressing sul Pdci si fa pesante. In un attimo Franceschini, Fassino, Manconi e D'Alema circondano Diliberto e lo accusano di «voler far saltare tutto». Anche il Guardasigilli Clemente Mastella, assente nei giorni scorsi, cerca di mediare tra Pdci e Rifondazione. Diliberto, per non astenersi, chiede un impegno da parte di tutti ad inserire almeno al Senato il «416-ter», cioè il voto di scambio, tra i reati da escludere. Mastella va prima da Bertinotti, poi da Giordano. Quindi torna. Ma con una risposta negativa: il Prc non vuole saperne. Si ritardano i tempi. Diliberto prende atto e conferma l'astensione. L'Aula entra in fibrillazione, Ulivo e FI fanno la conta chiamando alle armi ogni assente. In breve i banchi del governo, già più affollati, si riempiono. Mentre fa il suo ingresso tra gli spalti di FI Silvio Berlusconi. Le assenze vanno ridotte al minimo. Alla fine lo sforzo viene premiato: la maggioranza dei due terzi viene superata di 40 voti. Ma al Senato la battaglia non sarà meno dura.

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