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Il ministro scende in piazza per protestare contro il governo. Il centrosinistra lo snobba

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Un provvedimento «trasversale» che ha diviso maggioranza e opposizione: assente il ministro della Giustizia Mastella. Tra i «dissidenti» interni al governo chi rivendicava la voce in capitolo del premier e Di Pietro, il leader dell'Italia dei Valori e ministro delle Infrastrutture. Ieri mattina in compagnia di un crocchio di persone si è schierato sotto il portone di Montecitorio per attirare l'attenzione su un provvedimento che, a suo parere, darebbe la libertà a chi, in carcere, non c'è mai entrato e, anzi, deve essere ancora processato. Piuttosto, la richiesta di Di Pietro sarebbe rivolta a quei cinquanta bambini innocenti che sono in carcere perché «nati da madri che devono scontare una pena». Un appello, quest'ultimo, che ha raccolto l'adesione di Vittorio Sgarbi. In tarda serata, inoltre, è arrivata un'aggiunta, una frecciatina contro il premier: «Il silenzio dei leader del centrosinistra è sempre più assordante», ha chiosato. In parole povere, in gioco ci sarebbero venticinque emendamenti (di trecento presentati in Aula), seguiti a una riunione della Commissione Giustizia che ne ha ridotto il numero. Sul tavolo delle discussioni ci sarebbero in particolare due articoli. Il primo, quello che riguarderebbe la «concessione di indulto per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006 nella misura non superiore a tre anni» e il secondo, nel quale si afferma di come «è concesso indulto, per intero, per le pene accessorie temporanee, conseguenti a condanne per le quali è applicato, anche solo in parte, indulto». In pratica, il provvedimento di clemenza può essere applicato a chi si macchia di reati finanziari e contro la Pubblica Amministrazione ma non riguarda chi commette quelli di terrorismo, compresa l'associazione eversiva, strage, banda armata, mafia, schiavitù, prostituzione minorile, pedo-pornografia (vale anche la detenzione di materiale pornografico), tratta di persone, violenza sessuale, sequestro, riciclaggio, produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti. A Montecitorio intanto è proseguito per ore e ore il botta e risposta tra opposizione e maggioranza: la pietra dello scandalo è stato, appunto, il «distaccamento» di Di Pietro dal consiglio dei ministri. Un gesto tanto plateale quanto polemico che, nell'opposizione, ha fatto parlare di «gioco delle parti». «Di stranezze in questa vicenda se ne sono già viste troppe - ha osservato in aula Casini - La nostra Costituzione non prevede però il congelamento o l'autosospensione di un ministro. Che qualcuno chiarisca questa dinamica». Ma il «gioco delle parti» è stato registrato anche nei Ds. È partita da un quotidiano (per un articolo uscito con la firma di Travaglio) ed è arrivata a Montecitorio la polemica con Carlo Leoni (Ds) vicepresidente della Camera. A lui è spettato il compito di difendere il provvedimento attaccando le parole del giornalista che, al contrario, sparava a zero sull'indulto. Un «gioco delle parti» che però, evidentemente, ha coinvolto anche un centrodestra spaccato in due. Divisione netta tra Forza Italia e Alleanza Nazionale (i primi favorevoli, i secondi contrari) e scissioni anche all'interno dello stesso partito di Gianfranco Fini. Due, infatti, le correnti interne a quest'ultimo: da un lato la linea ufficiale del partito, che all'indulto dice "no"; dall'altra le voci "favorevoli" come, ad esempio, Mantovano e Gianni Alemanno.

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